La castrazione è la molla del tutto nuova introdotta da Freud nel desiderio, dando alla mancanza del desiderio il senso rimasto enigmatico nella dialettica di Socrate, benché conservato nella relazione del Convitto.
Allora l’ἄγαλμα dell’ἐρῶν mostra di essere il principio per cui il desiderio cambia la natura dell’amante. Nella sua ricerca, Alcibiade svela il segreto dell’inganno dell’amore e della sua bassezza (amare è voler essere amato) cui era pronto a consentire.
Non ci è stato permesso, nel contesto del dibattito, di spinger le cose fino a dimostrare che il concetto di pulsione la rappresenta come un montaggio.
Le pulsioni sono i nostri miti, ha detto Freud. Non lo si deve intendere come un rinvio all’irreale. É il reale che esse mitizzano, come fanno ordinariamente i miti: in questo caso, il reale che fa il desiderio, riproducendo in esso la relazione del soggetto con l’oggetto perduto.
Non mancano gli oggetti, col loro passare come profitti e perdite, per tenerne il posto. Ma solo in numero limitato possono sostenere un ruolo simbolizzato nel migliore dei modi dall’automutilazione della lucertola, la coda abbandonata nella miseria. Disavventura del desiderio sulle siepi del godimento, spiato da un Dio malizioso.
Questo dramma non è l’accidente che si crede. É di essenza: giacché il desiderio viene dall’Altro, e il godimento è dal lato della Cosa.
Lo squartamento pluralizzante che il soggetto ne riceve è ciò cui è dedicata la seconda topica di Freud. Occasione in più per non vedere in essa ciò che dovrebbe colpire, e cioè che le identificazioni sono determinate dal desiderio senza soddisfare la pulsione.
Ciò per la ragione che la pulsione divide il soggetto dal desiderio, desiderio che non si regge che sul rapporto che quello misconosce, il rapporto di questa divisione con un oggetto che la causa. É la struttura del fantasma.
Quale può essere allora il desiderio dell’analista?
 
J. Lacan, “Del Trieb di Freud e del desiderio dello psicoanalista”, in Scritti, vol. II, p. 857

“Il passaggio da psicoanalizzante a psicoanalista ha una porta di cui cardine é quel resto che costituisce la loro divisione, dato che questa altro non è che la divisione del soggetto, di cui quel resto è la causa.
In questo viraggio In cui il soggetto vede barcollare la sicurezza che ricavava dal fantasma in cui si costituisce per ciascuno la finestra sul reale, ci si accorge che la presa del desiderio e solo quella di un disessere.
Disessere in cui si svela l’inessenziale del soggetto supposto sapere, per cui lo psicoanalista a venire si vota all’αγαλμα dell’essenza del desiderio, pronto pagarlo riducendosi, lui e il suo nome, al significante qualunque.
Poiché ha rigettato l’essere che non sapeva qual era la causa del suo fantasma, nel momento stesso in cui, finalmente, é diventato questo sapere supposto.
«Che sappia, di quanto io non sapevo dell’essere di desiderio, che ne è di lui, venuto all’essere del sapere, e che si cancelli». Sicut palea, come Tommaso dice della propria opera alla fine della sua vita: come strame.
Così l’essere del desiderio si congiunge con l’essere del sapere per rinascere, dacché si annodano in una striscia fatta dall’unico bordo in cui si inscrive una sola mancanza, quella che l’αγαλμα sostiene.
La pace non arriva subito a suggellare questa metamorfosi in cui il partner svanisce per non essere ormai altro se non sapere vano di un essere che si sottrae.
Constatiamo qui la futilità del termine liquidazione per indicare questo buco in cui unicamente si risolve il transfert. Io non ci vedo altro, contro ogni apparenza, che una denegazione del desiderio dell’analista.
Come non cogliere, infatti, vedendo i due partner giocare nelle mie ultime righe come i due pali di uno schermo girevole, che il transfert non è mai stato nient’altro se non il perno di questa alternanza?
Così, da colui che ha ricevuto la chiave del mondo nella fessura dell’impubere, lo psicoanalista non deve più aspettarsi uno sguardo ma si vede diventare una voce”.

J. Lacan, Proposta del 9 ottobre 1967 (seconda versione),   Altri scritti, p. 250.

La soddisfazione del bisogno appare come l’illusione in cui la domanda d’amore va a schiantarsi.

J. Lacan, La direzione della cura e i principi del suo potere (1958), in Scritti vol. II, p. 623.

In “Il Banchetto degli analisti” (lezione del 24 gennaio 1990), Jacques-Alain Miller sottolinea che la “soluzione lacaniana della fine dell’analisi è una soluzione che non mette in gioco l’identificazione ma il transfert in quanto esso non ritorna a zero”.

Ciò a cui mira l’insegnamento di Lacan, dice Miller nella lezione successiva, è infatti “l’induzione al lavoro (…) non è un’identificazione ma una passe e la passe, come concetto della fine dell’analisi, comporta che, senza dubbio, l’uscita dal transfert è la fine dell’amore del sapere ma è un errore credere che si tratti della fine del sapere. Al contrario, è la fine del suo culto. La fine del culto del sapere non-saputo. Si deve vedere che il culto del sapere non-saputo, il culto dell’inconscio si fonda sull’orrore di sapere. In questo senso, l’amore del sapere non è che un velo sull’orrore di sapere. Di modo che, il lato positivo della passe è il desiderio di sapere, il desiderio di sapere come lavoro”, vale a dire come transfert di lavoro dentro una Scuola.

A marzo, Miller ritorna sullo stesso tema per sottolineare che l’identificazione è ciò che “riconduce il soggetto allo stesso e al padrone, e dipende dal significante che lo rappresenta, ovvero da quello che permette al soggetto di essere incatenato in un catena significante. Quello che Freud ha chiamato l’inconscio è il funzionamento di una simile catena significante ed è per questo che il discorso del padrone e quello dell’inconscio, secondo Lacan, hanno la stessa struttura”. Essere identificato, aggiunge Miller, significa, quindi, da un lato essere soggetto dell’inconscio e, dall’altro, essere soggetto del gruppo. Cosa succede, però, nel percorso di un’analisi? Se essa mira alla disidentificazione, cos’è un soggetto non più identificato? Come indica Miller, “tutta la struttura della Scuola, in quanto essa è coerente con la passe, è fatta precisamente perché essere un analista non sia un’identificazione”.

Al posto dell’identificazione, Lacan propone infatti il transfert di lavoro, su cui si fonda quello che Miller chiama “il paradosso stesso del concetto di Scuola”. All’identificazione Miller oppone, quindi, il “desiderio dell’analista” in quanto, come si legge nel Seminario XI, si tratta di un desiderio di ottenere proprio il contrario dell’identificazione, ovvero “il desiderio di ottenere la differenza assoluta”.

La formazione dei sintomi per mezzo dell’identificazione è legata alle fantasie, cioè alla loro rimozione nell’Inc, analogamente all’alterazione dell’Io nella paranoia [Minuta K (1895)]. Poiché lo scoppio dell’angoscia è legato a queste fantasie rimosse, dobbiamo concludere che la trasformazione della libido in angoscia non si verifica per la difesa tra Io e Inc, ma nell’Inc stesso. Esiste perciò anche una libido di Inc. La rimozione degli impulsi non sembra generare angoscia, bensì depressione: melanconia.
Quindi le melanconie si ricollegano alle nevrosi ossessive.

S. Freud, “Minuta N – 1897” in Opere vol. II, pag. 66, Boringhieri, Torino, 1974.

Nel suo Corso “Tutti sono folli”, del 2007-2008, Jacques-Alain Miller spiega molto bene la funzione delle identificazioni per l’essere parlante.
Nella sua lezione del 30 gennaio 2008, infatti, dice: “perché il soggetto è faglia, tutto si gioca a livello delle identificazioni che colmano tale faglia ed è in questo che Lacan vede il dinamismo della follia. Il dinamismo della follia dipende dall’attrazione di un certo numero di identificazioni in cui il soggetto impegna la sua verità e il suo essere.”
Questo avviene anche a livello del reale del corpo sessuale. In effetti, dice ancora Miller, “l’identificazione resterà per Lacan un vettore assolutamente decisivo in tutto il suo insegnamento, nella misura in cui il soggetto, così come lo definisce, distaccato dalla realtà fisica, il soggetto richiede delle identificazioni. E precisamente, quando Lacan cercherà di mostrare nel campo della sessualità il reale che sarebbe proprio dell’inconscio, procederà ancora tramite la via dell’identificazione. In effetti, le formule della sessuazione sono delle formule dell’identificazione sessuale primordiale e, se ci sono due identificazioni sessuali primordiale, è nella misura in cui non c’è rapporto sessuale. L’identificazione sessuale viene al posto del rapporto sessuale, messo al posto della faglia, contrassegnato con la sigla S barrato”.

Ma che significato ha l’identificazione isterica? Per chiarirlo, occorre un’esposizione più approfondita. L’identificazione è un momento estremamente importante nel meccanismo dei sintomi isterici; per mezzo suo gli ammalati riescono a esprimere nei loro sintomi non soltanto le esperienze proprie, ma quelle di molte persone, a soffrire, in un certo senso, per un’intera moltitudine e a rappresentare, senz’altrui concorso, tutte le parti di una commedia. Mi si obietterà che questa è la ben nota imitazione isterica, la capacità da parte degli isterici di imitare tutti i sintomi altrui che li hanno colpiti, una simpatia, per così dire, spinta sino alla riproduzione. Con ciò, però, è indicata soltanto la via sulla quale si svolge il processo psichico dell’imitazione isterica; ma una cosa è la via, un’altra l’atto psichico che la percorre.   ( … )   L’identificazione non è dunque semplice imitazione, bensì appropriazione in base alla stessa pretesa etiologica. Essa esprime un “come”, e si riferisce a qualche cosa di comune che permane nell’inconscio.

S. Freud, “La deformazione nel sogno”, in Opere, vol. III, pag. 144 e pag. 145, Boringhieri, Torino, 1974.  (Dal commento alla bella macellaia)

E’ la lettera come tale a dare appoggio al significante seguendo la legge della metafora. E’ d’altrove, dal discorso, che esso la prende nella rete del sembiante.
Tuttavia essa viene promossa da lì come referente altrettanto essenziale di qualsiasi altra cosa, e questo cambia lo statuto del soggetto. Il fatto che egli si appoggi su un cielo stellato e non solamente sul tratto unario per la sua identificazione fondamentale spiega che non possa prendere appoggio che sul Tu e precisamente in tutte le forme grammaticali con cui il minimo enunciato varia a seconda dei rapporti di cortesia che implica nel suo significato.
La verità rinforza qui la struttura di finzione che io vi denoto in quanto questa funzione è sottomessa alle leggi della cortesia.
Cosa singolare, sembra che questo conduca al risultato che non c’è niente di rimosso da difendere, poiché il rimosso stesso trova alloggio nel riferimento alla lettera.
In altri termini Il soggetto è diviso come dappertutto dal linguaggio, ma uno dei suoi registri può soddisfarsi con il riferimento alla scrittura e l’altro con la parola.

J. Lacan, “Lituraterra”, Altri scritti, pagg. 17-18, Einaudi, Torino, 2013