Vicente Palomera Laforga

Catalogna è reale. Esistono la sua cultura, il suo popolo, la sua lingua. Sono prodotti di un’evoluzione storica concreta e perfettamente narrabile.

Sono anche reali le aspirazioni politiche – qualunque esse siano – delle cittadine e dei cittadini catalani che sentono questa cultura, storia e lingua come propria. O che le utilizzano come veicoli di rivendicazioni più propriamente democratiche.

Al contrario, non è reale il cosiddetto “Procès” (processo) invocato da vari anni dal partito conosciuto come Convergéncia Democratica di Catalogna, (oggi PDCat), nel tentativo di approfittare deliberatamente e impunemente dell’aumento di tali aspirazioni civili, un aumento suscitato dal rifiuto del nuovo Statuto del 2010. Questo tentativo di sfruttamento e neutralizzazione ha un solo scopo: la sopravvivenza di una classe politica di fronte ad una crisi di regime. La cosa sorprendente è che il trucco ha funzionato. Il Processo è servito a ridurre al minimo l’usura politica dell’austerità. Infatti, in piena crisi economica mondiale, il governo catalano è l’unico governo di Spagna, per non dire dell’Europa del Sud, che riesce ad appropriarsi e usare, nel bel mezzo della più grande crisi economica mondiale che abbiamo conosciuto negli ultimi anni, il marchio e la parola democrazia. Ha saputo costruire un racconto e manipolare le parole con abilità.

In questo caso la democrazia compete con un’idea consumata e decadente di democrazia, quella spagnola. Che, d’altronde, non si differenzia in niente rispetto a quella catalana.

Il cosiddetto Processo, di fatto, è esattamente l’opposto di ciò che afferma di essere. È puro simulacro. Promette un progresso, mentre accentua la stagnazione. Dove invoca la democrazia, incoraggia la sua erosione. Dove si atteggia come socialdemocratica, instaura l’austerità e la privatizzazione. Il Processo è un’enorme promessa vuota la cui realizzazione è rinviata all’infinito.

La sorprendente sopravvivenza della classe politica catalana, in particolare della Convergéncia – il partito catalano del regime del ’78 per antonomasia – è dovuta alla sua prodigiosa capacità di reinvenzione. Una reinvenzione che però è quasi sempre stata puramente retorica. Sorprendente, senza dubbio, ma come può esserlo uno spettacolo di prestigiatori. Per lo più, è consistita nella sostituzione di concetti dotati di qualche realtà giuridica o storica – referendum, ad esempio – con altri che gli somigliano, ma non esistono legalmente come tali: ad esempio, la consultazione.

Abbiamo assistito alla metamorfosi di Artur Mas, che si trasforma dal politico noioso in un leader elettrizzante.

Il popolo catalano vuole l’indipendenza o vuole dichiararsi in suo favore?

Vuole ciò che desidera?

Forse, e fino ad oggi, la società catalana ha voluto manifestare per l’indipendenza (47,8% ha votato a favore). Ma si oppone alla tentazione di prevedere il futuro.

Una nota storica: dopo l’invasione napoleonica, nel 1808, l’imperatore divise la Catalogna dallo stato spagnolo governato da suo fratello Giuseppe. Come nel XVII secolo di conseguenza la Catalogna fu per poco tempo indipendente, prima di essere di nuovo annessa alla Francia. Questa indipendenza seguita poi dall’annessione costituiscono l’unico fatto che indica che forse la Catalogna sarà un giorno indipendente. Forse in un futuro non troppo lontano, quando lo Stato non sarà un fattore decisivo, che è l’evoluzione attuale, come mostra questa crisi in cui Stati come la Grecia, la Spagna, il Portogallo e l’Italia hanno constatato una sovranità e una capacità di movimento limitato.

Traduzione di Mary Nicotra