Gil Caroz
Nell’attuale scompiglio delle democrazie in Europa, il Belgio ci presenta una smorfia singolare del padrone di domani. Il nazionalismo identitario e la rivendicazione separatista della N-VA (Nuova-Alleanza) fiamminga, che siede attualmente al governo federale, sono dormienti. Questo è stato ottenuto attraverso l’arte della negoziazione, molto belga, del Primo Ministro Charles Michel, membro del Movimento Riformatore (MR), partito liberale del Belgio francofono. Ma si tratta di un equilibrio fragile in quanto è soltanto al prezzo della messa in opera integrale del suo programma politico, economico, sociale e etico che la N-VA accetta, per il momento, di “giocare il gioco” della coalizione governativa. Conseguenza: tale compromesso si paga con un aumento dell’ideologia neoliberale molto cara sia alla N-VA che ai suoi alleati liberali e ormai applicata in forme estremiste. Essa si traduce sul terreno con un neo-igienismo manageriale che va di pari passo con una sottomissione esponenziale ai progressi della tecnologia. Si avverte, in modo preciso, nelle riforme attuate dal Ministero belga della Sanità e, in particolare modo, nel campo della salute mentale.
Gli psicoanalisti sono al riparo dalla “Legge sulle professioni di cura della salute mentale” di cui l’ultima versione è stata votata nel giugno 2016. Ma i giovani praticanti che non fanno parte di una Scuola e che desiderano che la loro pratica sia orientata dalla psicoanalisi, sono in grande difficoltà: non possono esercitare il loro mestiere legalmente senza passare dai percorsi di formazione subordinati all’EBM o all’EBP[1], nomi di uno scientismo che, nel campo psy, non fa che velare la pulsione di morte manageriale. Inoltre la procedura che consiste nel sottomettere i professionisti a questo scientismo è ben pensata poiché colui che vi si sottomette trova una ricompensa immediata sotto forma di remunerazione garantita, mentre, i contestatori sono minacciati, più o meno esplicitamente di sanzioni e di impossibilità di lavorare nelle istituzioni pubbliche. Consideriamo, quindi che la psicoanalisi abbia un diritto di evidente ingerenza in questa materia al fine di fare barriera alle applicazioni della legge.
È il cittadino “non produttivo” che è preso di mira da questa politica. Se essa punta alle professioni della salute mentale, è per convertire i curanti in agenti incaricati di richiamare all’ordine i cittadini. Gli autori della consulenza intitolata “Modello di organizzazione e dI finanziamento delle cure psicologiche”,[2] sulla quale si appoggia la legge sulle psicoterapie, nascondono male il loro disprezzo per gli effetti di crisi soggettive. “Il prezzo dello sconforto morale è pesante per la società”, scrivono, “particolarmente in termini di assenteismo e di perdita di produttività”. Per questi esperti, si tratta di disturbi leggeri in persone che hanno soltanto bisogno di una “piccola spinta professionale” che non deve oltrepassare le cinque sedute rimborsate, cortocircuitando così ogni questione soggettiva, con lo scopo di reintrodurre l’individuo sul mercato del lavoro il più presto possibile.
Colmo del cinismo: questa regolamentazione del campo delle psicoterapie si presenta come un’azione in difesa del cittadino di fronte ai rischi di “ciarlatani” che pullulerebbero nel nostro campo. Questa minaccia dei “ciarlatani” è un velo messo sugli effetti di riduzione a scarto (déchetisation) dell’umano che si staglia all’orizzonte di questa riforma. In effetti, le persone che non saranno “guarite” entro le cinque sedute saranno espulsi dalle cure, a meno di provare che soffrono di un disturbo molto più grave che necessita di qualche seduta supplementare presso un terapeuta di “secondo livello”. Ci viene annunciato che questo dispositivo regolerà una volta per tutte il problema delle liste di attesa nei centri di salute mentale senza immaginare l’eventualità che si troveranno allungate altrove, per esempio alle porte delle prigioni.
Fin qui, niente di nuovo. Si conosce la canzone dei ciarlatani e la servitù al discorso del padrone di ciò che si chiama “salute mentale”. Jacques-Alain Miller ha puntualizzato già da trent’anni questa funzione di mantenimento dell’ordine pubblico: “circolate!”.[3] Salvo che qui, non si tratta di un mantenimento dell’ordine, ma di un attacco contro il discorso in quanto legame sociale. Questo attacco è operato dagli ultimi sviluppi della tecnologia, installate al posto del padrone. Gli stessi esperti si trovano disoccupati a causa delle informazioni disponibili sugli schermi. Dopotutto, un esperto è un umano. I pazienti, come i professionisti della sanità, sono invitati a ricercare su internet i migliori rapporti qualità/prezzo delle cure che risparmino loro, se possibile, un incontro umano che implichi un transfert.
Questo assalto operato sul legame sociale trova il suo parossismo sintomatico nell’offerta di eutanasia fatta ai malati negli ospedali psichiatrici. Non contestiamo l’eutanasia per le sofferenze in fase terminale delle malattie del corpo. Non ricusiamo, oso dire, l’eventualità che lo psicoanalista debba, all’occasione, senza dubbio molto raramente, accompagnare un soggetto fino all’incontro che auspica e che organizza con l’assoluto, poiché non è impossibile che in certi casi, ci sia qualcosa di peggio della morte. Ma da questo a proporre l’eutanasia per sofferenza mentale c’è uno scarto e non è una sottigliezza. Non solamente perché l’offerta, come diceva Lacan, crea la domanda, ma anche perché sospettiamo che, a questa pratica ultima di “cura”, sia sottintesa la stessa logica manageriale che mira alla riduzione dei costi. In effetti, il malato “costa”. Misconoscendo l’irriducibile del sintomo, il paradigma problema-soluzione applicato al campo psy può soltanto condurre alla ricerca di una soluzione definitiva della sorte umana.
Questa deriva dell’eutanasia per sofferenza psichica costituisce la punta dell’iceberg. Conferma che non possiamo restare inattivi di fronte agli eventi. Già da qualche anno ormai, la comunità degli psicoanalisti del Campo Freudiano in Belgio conduce una lotta serrata contro la legge sulle psicoterapie e le sue applicazioni, associandosi ad altri professionisti in questa battaglia. Come evidenziato prima, abbiamo al momento ottenuto una messa al riparo della psicoanalisi: non entra nel campo di applicazione della legge. Ma la battaglia discorsiva contro questa macchina manageriale è lungi dall’essere conclusa. Non ci precludiamo alcun mezzo legale per contrastare questo rullo compressore di una amministrazione che si appresta alla distruzione del sistema esistente, senza proporne un altro che valga: riunioni di praticanti, pubblicazione di testi, lobbyng, incontri con dei politici, introduzione dei nostri membri nelle istanze amministrative competenti, concertazioni giuridiche… Questa resistenza si rivela efficace. Durante un incontro nell’ufficio del Ministro della Sanità abbiamo potuto constatare che il padrone neoliberale è meno a proprio agio quando un granello di sabbia s’infila nei suoi ingranaggi. Vuole la pace. Diventa un po’ esitante. “L’agitazione” sul terreno non va bene al management. Noi continueremo dunque, perché di fronte a delle pratiche di riduzione a scarto dell’umano la resistenza si impone.
Traduzione di Norma Stalla