Roberto Cavasola

La diffusione del DSM per la diagnosi ha portato ad una stardardizzazione annullando la particolarità soggettiva, caratteristica della diagnosi in psicoanalisi, per la quale, all’opposto “c’è analisi solo del particolare”[1]. Ma dobbiamo notare che “ciò che dipende dalla stessa struttura non ha necessariamente lo stesso senso”[2], perché i tipi clinici che sono indicativi della struttura sono stati messi a punto prima della odierna sedicente scienza psichiatrica ma anche prima della psicoanalisi:  “Ci sono dei tipi di sintomi, c’è una clinica. Solo che, ecco, essa viene prima del discorso analitico…” (…) “noi abbiamo invece bisogno della certezza, poichè solo questa può trasmettersi per dimostrazione. Con nostro stupore la storia mostra che questa esigenza è stata formulata molto prima che la scienza vi rispondesse…” [3]
Nel DSM l’affermazione di oggettività scientifica, ricollegata al carattere descrittivo dei sintomi, nasconde il fatto che sono state fatte delle scelte precise come l’abolizione della categoria della nevrosi e il ridimensionamento della categoria della psicosi. E’ stato fatto prevalere il disturbo dell’umore rispetto alla diagnosi di psicosi, quindi se uno psicotico è depresso o agitato gli viene fatta la diagnosi di bipolare che spesso viene fatta anche ai nevrotici, con un carattere che dal nostro punto di vista è transclinico. Nella mia pratica in ospedale posso constatare che i miei colleghi psichiatri fanno la diagnosi di bipolare a dei pazienti che io considero psicotici.
Questo spiega l’aumento delle diagnosi di bipolare che secondo Allen Frances è raddoppiata e secondo David Healy[4] è aumentata del 400%.  Le case farmaceutiche hanno colto questa tendenza; i nuovi antipsicotici che erano stati un insuccesso sono stati riposizionati come farmaci per il disturbo bipolare e l’olanzapina e la quetiapina hanno avuto un volume di vendite enorme. Allen Frances[5] ha ragione nell’indicare che Big Pharma ha pesantemente influenzato l’uso della diagnosi e la prescrizione di farmaci. Così agli psicotici viene diagnosticato un disturbo bipolare trattato con antipsicotici validati per l’uso nel disturbo bipolare.
Purtroppo gli antipsicotici vengono impiegati anche nei nevrotici che hanno un disturbo dell’umore. Inoltre, come osserva Eric Laurent, i pazienti con le loro organizzazioni preferiscono attribuirsi la diagnosi di bipolare piuttosto che quella di psicosi; è il cosidetto Looping effect [6].
Un antropologa americana, Emily Martin nel suo studio del disturbo bipolare[7] ha assistito agli incontri di gruppi di auto aiuto nei quali i pazienti si presentavano gli uni agli altri con un numero, un indice di gravità che si erano attribuiti con una scala di autovalutazione: “Buongiorno io sono un 1;  io sono un 2, ecc…”. Si tratta dunque di far valere nella scienza l’oggettività come un significante padrone e rivela il privilegio della nominazione nel tentare di dare un nome al reale come indicato da Lacan in RSI.
Nel mondo anglossassone c’è stato invece un fiorire di autobiografie di bipolari che possiamo suddividere in due categorie:

  1. le autobiografie didattiche come quelle di Patty Duke[8], un’attrice televisiva, e di Kay Radfield Jamison[9], una professoressa di psichiatria, che raccontano la loro vita piena di pasticci intercalandoli con spiegazioni scientifiche sul disturbo bipolare, ad uso delle persone bipolari affinché capiscano la necessità di fare una terapia.
  2. Le autobiografie che raccontano davvero la vita di un individuo Maniac Depressive, che consentono di avere un’idea precisa della vera Psicosi maniaco-depressiva. Andy Behrman[10] che faceva il Pr a New York negli anni ’80 racconta di essere entrato in un negozio per comprarsi una giacca di averne provate cinque, e dato che la commessa sottolineava come ciascuna di queste gli stesse molto bene lui le ha comprate tutte, salvo poi accorgersi, uscito dal negozio, di avere speso molti soldi. Behrman non può scegliere e limitarsi; ciò dipende dal fatto che sia necessario fare riferimento a una perdita; una prima perdita fondamentale deve essere già inscritta affinchè la perdita come tale possa svolgere una funzione nell’economia soggettiva. Per capire l’ipomania o la mania bisogna prendere come riferimento il rapporto con l’oggetto, notiamo come questo sia sregolato perchè non c’è la mediazione svolta dalla mancanza. Se l’avere deve essere sempre confrontato con il non avere, la logica dell’ipomania è dominata dall’avere sempre di più, meglio avere di più che avere di meno, e questo non ha un limite.

Nel caso di Andy Behrman questo si applica anche alla propria persona: dato che soffre di insonnia esce a notte fonda per comprarsi un’hamburger, entra in un locale di Times Square e si ritrova senza volerlo, senza averlo deciso, ad essere inserito in un giro di prostituzione omosessuale; dato che gli viene proposto di fare sesso in cambio di soldi, lui trova che dopotutto anche questo è un modo per “avere di più”. All’opposto di questa disinibizione che si spinge fino alla prostituzione vi è un inibizione radicale, apparentemente immotivata, un altro modo di declinare la non funzione della mancanza. Come dice Brian Adams : “…quando ero depresso sono diventato uno zombie mentre cercavo di decidere cosa fare di me stesso…”[11].

—-

[1] J. Lacan, Introduzione all’edizione tedesca degli scritti, Altri Scritti, Enaudi, 2013, pag 549.
[2] Ibidem
[3] J. Lacan, Introduzione all’edizione tedesca degli scritti, Altri Scritti, Enaudi, 2013, pag 549.
[4] D. Healy, Mania, A short History of Bipolar Disorder, The Johns Hopkins University Press, Baltimore, 2008.
[5] A., Frances, Saving Normal, an insider’s revolt against out-of-control psychiatric diagnosis, DSM-5, big pharma, and the medicalization of ordinary life, Harper Collins, NY, 2013.
[6] E. Laurent, La crise post-DSM et la psychanalyse à l’age numérique, La cause du Desir n. 97, pag 159
[7] E. Martin, Bipolar Expeditions, Mania and Depression in American culture, Princeton, University press, 2009.
[8] P. Duke & G. Hochman, Un’Estrosa Pazzia, Longanesi, Milano, 1992
[9] K. Redfield Jamison, Una mente inquieta, Tea, Milano, 1996
[10] A. Behrman, Electroboy, A memoir of Mania, Penguin Book, London 2002,
[11] B. Adams, The Pit and the Pendulum, A life with Bipolar Disorder, Jessica kingsley Publisher, London 2003, pag 26.