Adelia Natali
Sappiamo che l’elaborazione logica di un caso clinico, seguendo le coordinate simboliche del soggetto, permette all’analista di interrogarsi e fare delle ipotesi sulla struttura e sulla diagnosi. L’insegnamento di Jacques Lacan, in particolare l’ultimo, consente alla pratica clinica, oltre a sottrarsi alla logica della classificazione tassonomica, di rendersi soprattutto attenta ai segni e agli indizi, anche minimi, del detto di ogni soggetto.
Prenderei l’esempio di un caso clinico [1] di una giovane donna, analizzando un solo aspetto, emerso da subito nella richiesta d’aiuto di questo soggetto, nel punto in cui diceva: «quando sono arrivata qui volevo elaborare il lutto per la morte di L. (un ragazzo a cui non aveva mai dichiarato il proprio interesse) e per quella di mia madre, ma soprattutto stavo male perché mi sentivo come …svuotata […] adesso va meglio…è che parlare qui, con lei, mi fa stare meglio».
Abbiamo qui due elementi contrastanti: il fatto che il soggetto dichiari che parlare la fa sentire meglio, sembra situarsi sul versante di una natura dialettica di questo “sentimento di vuoto”, ma il collegarlo a due lutti di quasi venti anni prima, fa dubitare di questo tipo di natura. In particolare colpiva il lutto del ragazzo che amava «anche se lui non lo sapeva». Di cosa si trattava in questa relazione? Cosa significava per questa donna? E perché la sua perdita era messa insieme a quella della madre? Cosa ci raccontava della posizione di questo soggetto rispetto all’Altro, all’altro simile, al significante e al godimento?
Cosa ci diceva quindi questa esperienza del soggetto del sentirsi “svuotata”?
Miller fa notare che nell’isteria, a causa di un difetto d’identificazione narcisistica al corpo, si può reperire “una certa assenza del corpo, una certa confusione con il corpo [e] possiamo domandarci se questa confusione giunga al punto di non indicare più l’isteria, ma, di fatto, la psicosi”. [2] Si tratta “del soggetto barrato che rinvia al niente nella nevrosi? O […] il vuoto psicotico, il buco psicotico?”.[3]
Rispetto a questo “vuoto” si poteva quindi inizialmente rilanciare la questione in questi termini: siamo di fronte ad una mancanza ad essere, manquè-à-être, da intendere come divisione costituente, quella del soggetto diviso sul versante nevrotico oppure una mancanza di significazione fallica per lo scacco della metafora paterna?
Miller fornisce un buon elemento di diagnosi differenziale quando spiega che anche nella nevrosi si reperisce spesso quest’esperienza di vuoto, della vacuità, del vago, ma nella psicosi ordinaria troviamo in esso una natura non dialettica, «una speciale fissità di questo indizio [e anche] la fissità dell’identificazione con l’oggetto a come scarto [cosicché] il soggetto va nella direzione di realizzare lo scarto sulla sua persona». [4]
Dopo aver reperito molti elementi della Storia di questo soggetto, che potevano anche far pensare ad una ipotesi d’isteria, per una certa impotenza del padre – che era apparso alla paziente deludente perché fragile e debole – la questione era se questo dato si poteva attribuire al sentimento di “sentirsi vuota”. Vale a dire la questione di “non essere”, che l’isterica cerca di colmare ponendosi come ciò che manca all’Altro. Un Altro che necessariamente deve essere “mancante”, come lo è era questo padre. Oppure il forte legame con il padre era piuttosto dell’ordine di una identificazione, che testimoniava di una mancata operatività dell’Edipo?
Tutti questi elementi, assieme al dato che la paziente era rimasta sempre in un rapporto fusionale nei confronti della Madre, non facevano forse pensare ad un padre reale che “non tiene” e che quindi non può assolvere alla sua principale funzione, che è quella di agente della castrazione?
Non si poteva reperire qui un elemento che ci parlava della difficile condizione in cui si era venuta a trovare ad operare la metafora paterna? In altre parole vi erano le condizioni necessarie a questo padre per poter intervenire come operatore strutturale della castrazione? In che posizione era quindi questo soggetto rispetto al godimento?
L’Altro paterno sembrava quindi aver fallito rispetto alla funzione di separarla dal godimento interdetto della madre e quindi aveva mancato l’operazione necessaria a fare emergere per lei un desiderio soggettivato. In altre parole sembrava che per questo soggetto, “l’instabile mondo immaginario” della prima struttura psichica, che è notevolmente instabile, confusa e caratterizzata dal transitivismo, non avesse potuto ricevere “l’ordine simbolico”, come spiega Miller in un passaggio del testo “Effetto di ritorno sulla psicosi ordinaria”.
Dice Miller: “E’ a partire da qui che Lacan struttura la psicosi. Per lui è anche il mondo della madre. Si suppone che sia un mondo la cui forza pulsionale è quella del Desiderio della Madre, il disordinato desiderio della madre verso il soggetto-bambino. In un certo modo, ciò equivale a dire che la follia è il mondo primario. E’ un mondo di follia.” [5] Quello di questa giovane donna, non era stato quindi il padre del desiderio, piuttosto si trattava di un padre che non aveva potuto articolare Legge e desiderio.
Mi fermerei qui nella breve esposizione di un punto di questo caso clinico, riprendendo le parole di Miller quando scrive che nel suo ultimo insegnamento Lacan diceva: “[…] il vostro lavoro è afferrare la maniera particolare, singolare, insolita, con cui il vostro paziente dà senso alle cose, con cui continua a dar senso alla ripetizione della sua vita”.[6]
In questo caso, che poneva molti interrogativi rispetto alla struttura, è stata molto di aiuto la clinica borromea, che diventa veramente preziosa quando si è davanti ad una fenomenologia clinica che non mostra una opposizione netta, ma piuttosto una graduazione e talvolta una sfumatura degli elementi. Dice Miller: “si tratta di una clinica molto delicata. Molto spesso è una questione di intensità. È una questione di più o di meno”[7] e anche che spesso occorre “seguire le tracce e […] pensare i segni, talvolta minimi, della preclusione”[8].
Inoltre Miller afferma che: “[…] Freud […] ebbe un caso di psicosi ordinaria l’Uomo dei lupi. Era uno psicotico ed era una psicosi ordinaria perché era pieno di tratti nevrotici. Aiutò Freud a chiarire le nevrosi.” [9]
La psicosi ha il merito di portarci in primo piano – ed è per questo che il punto di accesso alla psicoanalisi è la psicosi – la vera dimensione del soggetto, al di là delle sovrapposizioni nevrotiche. Rispetto alla clinica della struttura, ovverosia ciò che vale per tutti, quella “dei nodi” ha a che fare con il particolare di ciascuno, con il godimento singolare.
La bussola che l’insegnamento di Lacan invita a tenere sempre a portata di mano è quindi quella che permette di non perdersi, sia nel senso di sapersi orientare verso la giusta direzione della cura, ma anche quella di non perdersi nessun minimo indizio del detto di ciascun soggetto per poter così restituirne la singolarità.
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[1] Caso clinico in carico in un C.S.M. durante il mio tirocinio per l’Istituto Freudiano
[2] J.A. Miller, Effetto di ritorno nella psicosi ordinaria, in La psicoanalisi N.45, 2009, Astrolabio, pag. 228
[3] Ivi, pag.229
[4] Ibidem
[5] J-A. Miller, Effetto di ritorno sulla psicosi ordinaria, La Psicoanalisi, n. 45, gennaio-giugno 2009, pag. 231
[6] Ivi, pag. 233
[7] J.-A. Miller, Effetto di ritorno nella psicosi ordinaria, in La psicoanalisi N.45, 2009, Astrolabio, pag. 235
[8] Irma, La conversazione di Arcachon, Casi rari: gli inclassificabili della clinica, Astrolabio, 1999, pag.131
[9] J.-A. Miller, Effetto di ritorno nella psicosi ordinaria, in La psicoanalisi N.45, 2009, Astrolabio, pag. 246