Maurizio Montanari

Il contemporaneo, contrassegnato dall’indebolimento del sistema simbolico e dall’evaporazione del padre, fa emergere una presenza diffusa della perversione, sia in termini di clinica individuale, sia come trama nascosta che intesse il legame sociale. Esiste in tal senso un assunto sinora ritenuto immutabile, quello secondo il quale il perverso non va in analisi. Nel gergo comune il termine perverso ha assunto nel corso del tempo una connotazione totalmente negativa, usato nella maggior parte dei casi per descrivere soggetti dediti a pratiche sessuali particolari, devianti, fuori norma o percepite come bizzarre e pericolose. Con Lacan l’accento viene spostato dalle manifestazioni esteriori della perversione, per fare luce sulla struttura perversa come organizzazione psichica a sé stante. Dunque non una ‘patologia’, non una deviazione da supposti criteri di buona vita, quanto un modo di essere, ‘ (…) l’esplorazione privilegiata di una possibilità esistenziale della natura umana’[1]. Un’altra legge, dunque, che per sostenersi ha bisogno della lex degli uomini, il cui limite da sfidare fornisce senso e prospettiva al suo cammino.
La clinica mostra che il perverso è ben lontano dall’ignorare la legge. Ne ha invece bisogno come punto di gravità, attorno al quale muoversi mantenendo una distanza di sicurezza, un incedere che ne fa a meno comprendendola, un riferimento dal quale non si può prescindere senza mai farci davvero i conti. Una Legge sfidata, stuzzicata, fatta uscire dalla tana per poi rifuggirla quando essa diviene punitiva o si manifesta sottoforma di sanzione. Il suo metterla  alla prova assomiglia alle incursioni dell’hacker, il quale tentando di violare il sistema informatico di un ente, al contempo mostra il bisogno di validarne l’esistenza e la tenuta .In tal modo egli cerca la conferma di quella legge della quale non è riuscito a provare la solidità, a partire dalla differenza tra i sessi.  J. A. Miller scrive che  il vero perverso ‘ non chiede un analisi. Non ne ha bisogno, perché conosce con esattezza la ragione del suo stare al mondo. Egli sta al mondo per il godimento e sa bene dove cercarlo, dove incontrarlo, oltre ad essere un buon conoscitore dei luoghi di godimento presenti nella città, dato che è proprio il godimento che lo orienta[2]’.  Infatti le visite di queste persone ci offrono una visuale particolare del quotidiano, sfrondato dagli orpelli dell’apparenza, fornendo la cifra della diffusione dei codici perversi nella città. Essi raccontano di zone grigie nelle quali luci ed ombre, lecito ed illecito si fondono. Quegli stessi luoghi indagati da Céline che affermava : ‘Tutto quello che è interessante accade nell’ombra, davvero. Non si sa nulla della vera storia degli uomini’[3].
Cosa domanda dunque un perverso quando bussa alla porta? Cosa chiede quando ci convoca? La richiesta di aiuto molte volte scaturisce dallo scontro tra questi due codici, il suo illimitato orizzonte di godimento e la ganascia censoria della legge.  Sempre più individui con struttura di questo tipo giungono in seduta con un troppo ingestibile.
Con il marchio di una sanzione sulla pelle causata dai loro eccessi ‘ non si può godere di tutto, dottore! ‘ racconta  chi, privo di sensi di colpa,  non riesce più a gestire la sua impalcatura  perché troppo difficile da incastrare con i ritmi o le regole della vita quotidiana. Essi  raccontano di limiti a questa condotta imposti da un lato dal codice penale,  dall’altro dall’impossibilità fisica ed economica di mantenere livelli di godimento così alti. Tutte queste persone sono state sanzionate nel loro eccedere dal sistema, che ora minaccia di licenziarli, ora di divorziare, ora di metterli all’angolo, o di arrestarli ‘Lei deve aiutarmi a capire quando sforo, prima che mi cacci di nuovo nei guai’ è la frase che condensa le richieste di molti di essi, premessa al desiderio di continuare a godere. Dunque lo studio del clinico come autovelox che segnali in tempo utile la velocità troppo elevata. Non perché il conducente abbia a cuore la sua incolumità o quella altrui, o perché desideri una condotta di vita ‘regolare’, quanto perché è troppo alta la seccatura  di un intoppo, sociale o fisico, che gli impedisca di sfrecciare alle sue velocità. Egli non cerca alcun filo di Arianna da ripercorre come il nevrotico. E nemmeno è alla ricerca, come lo psicotico, della costruzione di un nuovo ‘abito’ per meglio adattarsi ad un mondo che lo ha trovato spoglio. Vuole un aiuto, ma non senza rinunciare ad essere un perverso.
Il nevrotico può accettare di apparire come soggetto, piccolo, debole e marginale rispetto alla propria scena. Il perverso no. Egli è le sue gesta. Infine, è dunque vero che non si tratta di analisi, della ricerca di una rettifica personale. Non c’è sintomo che produce sofferenza opaca al soggetto, non c’è inconscio. Egli soffre, questo si, ma non porta interrogazioni profonde, semplicemente non padroneggia più un giocattolo che conosce alla perfezione.   In ultima analisi  il perverso  domanda un sostegno regolatore,  accettando  una sorta di ‘segretariato’ dell’eccesso per mettere un limite laddove egli non lo percepisce.

[1] J. Lacan, Gli Scritti tecnici di Freud, Einaudi. P 234
[2] J. A. Miller, Logiche della vita amorosa, Astrolabio. P 78
[3] Louis Ferdinand Céline, Viaggio al termine della notte. Corbaccio. P 89