Michele Bianchi

«Una persona non rientra mai in modo preciso in schemi e algoritmi diagnostici» ha scritto C. Mencacci nel presentare l’edizione italiana del DSM-IV-TR CASE STUDIES. Guida clinica alla diagnosi differenziale. Text Revision. Non si tratta di considerazioni datate solo perché è uscito il DSM-V, né lo sono in assoluto solo si abbia un minimo di dimestichezza all’interno delle teorie più importanti della psicoterapia oggi. Tali teorie fanno a gara a chi salvaguarda di più il resto dell’operazione della valutazione, fanno a gara di romanticismo clinico. Lacan è diventato loro simpatico. Beninteso, lo fanno cercando di salvaguardare un tipo di persona, il tipo “umano”, surrettiziamente assunto come rappresentante esclusivo di ogni esperienza di ascolto, di aiuto, medica. Ma così l’esperienza freudiana è perduta all’interno di una teoria della razza, all’interno di una tipologia: l’inassimilabile umano, il diritto alla sua salvaguardia. J. Lacan ha scoperto di avere corso questo rischio etnopsichiatrico. Mencacci spiega, a modo suo, perché il reale del soggetto sfugge sempre a chi lo vuole catturare in una formula: «Il ‘real world’ presenta casi clinici ancor più complessi di quelli illustrati nel volume e ciò deve aiutarci a comprendere che molti, forse la maggior parte, non sono inquadrabili in maniera chiara e precisa in una categoria del DSM-IV-TR. Alcuni pazienti manifestano sintomi che si collocano al limite tra i vari disturbi o presentano contemporaneamente più condizioni psicopatologiche»[1]. Possiamo tirare un sospiro di sollievo. Non è Lacan! Questa seconda parte della citazione ci tranquillizza, è ingenua. Ma la prima non lo è di meno, è solo più…. umana. Se dovessimo dire qualcosa sul real world pensato da Freud nella sua dottrina pulsionale dovremmo pensare alla Befriedigung, la soddisfazione pulsionale. Come intenderla? Lacan ad un certo punto del suo insegnamento ha scoperto di avere corso il rischio di non centrare l’esperienza della psicoanalisi su questo elemento scabroso.
Da almeno vent’anni la tendenza di gran parte della teoria psicodinamica è di stare al passo delle neuroscienze. L’idea che emozioni incarnate in un corpo entrino in relazione con un altro, che ne incarna di corrispondenti, comporta l’idea che le risposte emotive si producano per così dire di rimbalzo, e che in tale rimbalzo ci sarebbe un valore biologico da leggere; almeno in linea di principio. A partire da una leggibilità che è tutta postulata, ma che convive con teorie della terapia focalizzate sulla compassione interumana il clinico può, anzi deve orientare di volta in volta il suo atto. Le emozioni provate dal clinico stesso sono così considerate una risposta al paziente identica ai suoi ricordi infantili. Il corpo del paziente è ridotto ai suoi ricordi, alle sue rappresentazioni mentali più o meno anacronistiche, più o meno segregate nell’inconscio, più o meno scabrose. Freud ne risulta rovesciato. Il controtransfert diventa metodo di cura: l’atto stesso – non più solo la parola – acquisisce il potere di decifrare il senso del sintomo e di consegnarlo al paziente, come un dono. Ora se l’insegnamento di Lacan si discosta da questa tendenza che era già ben presente ai tempi di Freud, è perché riprende la tesi pulsionale della soddisfazione e la radicalizza alla luce della teoria della significazione fallica e della fine analisi. Il tentativo è quello di rimettere in piedi Freud. Come è noto il fallo, significante della mancanza quanto alla supposta relazione soggetto-altro (poco importa qui scriverlo con la “a” maiuscola o minuscola) acquista il nome di oggetto a, l’elemento che se impedisce che la simbolizzazione sia esaustiva, non può però impedire di fondare una pratica clinica sull’idea di una localizzazione – etnocentrica direi – della Befriedigung. Ma, ha osservato J.-A. Miller in diverse conversazioni degli anni Novanta sulla psicosi ordinaria, sul corpo e i suoi ingarbugliamenti, se con questa mossa teorica Lacan ha potuto rovesciare la teoria della compiacenza somatica, dicendo che si trattava piuttosto di un rifiuto del corpo, l’attenzione è sempre andata sul corpo come ribelle, capace sempre di signoreggiare, e proprio col suo dire “no” alla Befriedigung. L’ultimissimo Lacan risale in qualche modo controcorrente il fiume in piena del suo stesso ritorno a Freud, e si spinge a pensare la psicopatologia come incarnazione, senza però di accettare le nozze con le neuroscenze. Qui c’è un’analogia con la coppia psicoanalisi-neuroscienze. L’analogia finisce non appena ci si accorge che ogni fenomeno di corpo è pensato come transitorio proprio per la sua leggibilità preventiva. Ora la tesi dell’oggetto a è ancora incerta nell’allontanarsi da questa onniveggenza clinica. Sarà la tesi del sinthomo a raggiungere il segreto della Befriedigung, vale a dire fenomeni stabili di insediamento, di incorporazione che offrono una bussola alla vita del soggetto proprio nella misura in cui resistono alla leggibilità. Una bussola, non un adattamento forzato: «dire che il corpo sfugge al simbolico dà un taglio troppo largo poiché, da un’altra prospettiva, c’è una compiacenza delirante […] Il corpo si oppone all’S1 come significante padrone, ma questo è correlato alla sua estrema docilità nei confronti dello sciame significante, senza, però, che si possa prevedere a quale significante si aggancerà tale docilità»[2]. Ora, gli eventi di corpo resistono ad ogni lettura non certo al modo di un no, ma secondo la logica più misteriosa di un assenso, alla quale la clinica deve corrispondere per evitare la sua deriva psichiatrica. Occorre smetterla allora di giocare al gioco della caccia al matto (il soggetto che sarebbe fuori discorso sebbene nel linguaggio: l’essere fuori sempre evocato dal facile umorismo clinico). Il modo del no è sempre metaforico, mentre ciò che Lacan chiamava Nome-del-Padre scopre una solidarietà col sinthomo stesso, proprio quanto alla sua incalcolabile durata. Durata, direi, extragenerazionale, più che intergenerazionale. Dunque non è una metafora, non è una sostituzione, ma una parola che dice “sì” senza con questo prendere posizione per l’uno o per l’altro del linguaggio. Se fosse soggetto al tempo che scorre il Nome-del-Padre non varrebbe molto di più di una certa transitorietà fenomenica dell’embodied, per usare l’espressione passepartout all’interno della luna di miele suddetta. E sarebbe uno solo. Ma non uno tutto solo. Lacan, infatti, scopre che sono almeno due.

[1] A. Frances, R. Ross, DSM-IV-TR CASE STUDIES. Guida clinica alla diagnosi differenziale. Text Revision, Elsevier 2009, p. IX.
[2] J.-A. Miller (a cura di), Gli imbrogli del corpo, 1999, Borla 2006, p. 98.