Amelia Barbui
Ciò che mi interroga è la formulazione di Lacan riguardo al segno: “Un segno rappresenta qualcosa per qualcuno, il qualcuno è là come supporto del segno”[1]
Il segno, come Lacan ricorda facendo l’esempio del passo di Venerdì nell’isola di Robinson,[2] è una traccia cancellata. La sua funzione è dunque di cancellare la traccia, indicando e al tempo stesso celando il reale.
Questo “qualcosa per qualcuno” introduce inevitabilmente a quell’indeterminazione che troviamo dal lato femminile delle formule della sessuazione e nella logica fuzzy, da esse sottesa che, diversamente dalla logica aristotelica, consente la scrittura Ø”xFx e accetta che non sia costruibile l’insieme di tutte le donne Ø$x ØFx.
Il “pas toutes” indica che da qualche parte, e niente di più, una donna ha rapporto con la funzione fallica, non tutte, non è impossibile che …
Tale logica riguarda anche la psicosi ordinaria che sfugge alle categoria della clinica classica secondo cui è possibile individuare un insieme in cui possono prendere posto tutti i tratti distintivi di una data struttura clinica.
Ricordo che in “Psicosi ordinaria e clinica flou” Miller parla di “modi di godere” introducendo così l’approssimazione, il “non è sicuro”, il “più o meno”, con cui ci troviamo ad avere a che fare nel momento in cui viene a mancare quel principio organizzatore che ci consente di ripartire, secondo classi, in modo dicotomico e discontinuo il reale o la verità delle cose umane.
Come trattare i segni o, meglio ancora, cosa farne? Non si tratta certo di cercare di dare loro senso incasellandoli in nuove categorie diagnostiche. Il lato femminile delle formule della sessuazione ci mette in guardia rispetto a ciò.
Un incontro fortuito, in una giornata di sole, con dei segni curiosi, insensati, lasciati sul lungo Tevere per andare verso piazza Augusto Imperatore, all’altezza di via di Ripetta, mi ha fatto ulteriormente riflettere sulla singolarità delle soluzioni.
Solo più tardi ho saputo che si trattava dell’opera di un artista di strada: Fausto Delle Chiaie che osserva, cerca, raccoglie, e poi rielabora e ridistribuisce oggetti qualsiasi, comuni di scarto. Ma non dà senso a queste tracce quanto piuttosto rielaborando, riaggregando ciò che trova le “cancella” in quanto tracce, le vela e crea dei segni che indicano un percorso che spezza la consuetudine delle cose gettate per terra. Tracce, piccole cose, cose da nulla, semplici presenze, che per qualcuno divengono indizi di qualcosa.
Che un segno non abbia niente a che fare con un significante è ribadito a più riprese da Lacan.
“Il segno, diversamente dal significante, non fa sorgere il soggetto. I segni sono dati in un’esperienza privilegiata in cui c’è un ordine, non del reale ma nel reale.”[3]
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[1] J. Lacan, Le Séminaire, livre IX, L’identification, lezione del 6 dicembre 1961.
[2] Ibid, lezione del 24 gennaio 1962.
[3] J. Lacan, Le Séminaire, livre XXI, Les non-dupes errent , Lezione del 21 maggio 1974.