Giovanni Lo Castro

Che cosa ne è del tempo nell’era dell’epoca del life is now? Del passato che non ha valore e del futuro non progettuale? Nella società in cui l’ultima rivoluzione dalla “digitalizzazione” dei sistemi di comunicazione e non dal popolo? Cosa ne è della seconda “fonte dell’angoscia”, indicata dal padre della psicoanalisi, proprio nella fine del tempo incarnato in ciascun uomo?
Una sfida costante è aperta tra il soggetto e il tempo e la logica del “no limits” ne è un sintomo. Nell’epoca in cui i desideri diventano diritti, ogni tempo è buono per tutto e tutti sono buoni per ogni tempo. Non esistono limiti, né sulle cose, né sul momento in cui farle. Paradigma ne è la possibilità di una procreazione che non riconosce l’orologio biologico, deliziosamente fracassato dall’alleanza del discorso del capitalista con quello della scienza. Prezioso alibi e supporto al soggetto, per portare il più lontano possibile l’incontro con il Reale del Tempo; quello che, ci dice Ansermet [1], reso insopportabile dall’incontro con nuovo il tempo fatto esistere dall’arrivo di un essere umano: la nascita di un bambino. Lo segnala con un riferimento alla conferenza che Lacan tenne alla Yale University nel 1976 [2], e nella quale egli dice che il Reale ha a che fare con il tempo, in quanto il Reale non attende.
L’attesa, la sospensione del tempo, il rinviare al “tempo giusto”, si manifesta una strategia per sottrarsi all’incontro con uno dei nomi del Reale: l’insopportabile del “tempus fugit”. Ma il Reale del tempo nulla ne fa del desiderio sospeso del soggetto. Lo ignora, segue la sua logica dissincrona con il parlessere, non attende. “Non attende” significa che è impermeabile al desiderio del soggetto. Per questo possiamo segnalare che quello del “tempo giusto” è uno dei miti contemporanei del nevrotico. Tempo e Reale vanno in tandem; volere evitare l’incontro con il primo si rivela solo un vano espediente per scansare il secondo.
Vano, perché si tratta di un impossibile. Tempo e Reale li si può solo trattare, rendere sopportabili con l’immaginario e il simbolico, e ci vogliono ambedue; ma il nostro sociale, che abbonda di immaginario, difetta molto di simbolico. Per questo mi appare davvero puntuale il riferimento che Ansermet [3] fa ad Odradek, una figura – “uno strano oggetto parlante”, così lo definisce lo psicoanalista – che Kafka presenta in: “Il cruccio del padre di famiglia?”[4]. Odradek, un oggetto dotato di parola, una di quelle “eternità fuori dalla storia” [5], che irrompono nella realtà e che richiedono che “un buon padre di famiglia” se ne preoccupi. Un padre che, come nella parabola del figliol prodigo, accetti il rischio di essere definito “ingiusto”, allorché rispetta la differente temporalità soggettiva dei suoi figli, creando due regole differenti. Non cade nella trappola del “mito dell’uguale”. I figli – ogni essere umano e ogni società e cultura – è sempre: uno per uno.
Lacan farà di questa evidenza logica un punto cruciale nella sua innovazione e ne pagherà il prezzo con la sua scomunica. Aveva osato, ricorda F. Leguil [6], affermare che il tempo pubblico, quello che si ammanta di giustizia e di verità, perché è uguale per tutti, quello segnato dagli orologi del “politicamente corretto”, non coincide automaticamente con il tempo logico del singolo soggetto, né della singola cultura. La psicoanalisi non può non farlo presente alla politica, non può non dire che l’unica vera uguaglianza è la diversità!
Sotto transfert vi è un rapporto puntuale tra la verità e il tempo: è il “tempo per comprendere”, la cui dimensione è estranea persino al soggetto stesso, giacché obbedisce a ciò che del suo essere gli sfugge. L’esistenza di un “tempo logico”, quello dell’uno per uno, è intollerabile per il nostro sociale, proprio perché mostra non solo l’impossibile, ma anche la profonda ingiustizia implicita nel disconoscimento delle differenze e nella politica dell’uguale, smascherandone il loro essere un trattamento di quell’angoscia che la diversità (inclusa la temporalità dell’altro) produce nel soggetto post moderno [7].

[1] Ansermet F. Clinica dell’origine. Il bambino tra medicina e psicoanalisi. Franco Angeli, Mi, 2004, pag. 28 e seg.

[2] Lacan J. “Conferences et entretiens dans les Universités nord-americaines”, Yale University, Panzer Seminar, In Scilicet 6/7, 1976, pp. 7-31.

[3] Ansermet F., Ivi, p. 29.

[4] F. Kafka, Le metamorfosi ed altri racconti, Mondadori, Milano,1994.

[5] Ansermet F., ibidem, pp. 29-30. “Odradek è uno strano oggetto che da sempre abita la casa del padre di famiglia. Inquietante rocchetto piatto a forma di stella, (…). Odradek si muove nella casa, dal solaio sin nella tromba delle scale, agle ed imprendibile. (…). Il padre si Chiede cosa diventerà Odradek. Può soltanto morire? Tutto ciò che muore ha avuto prima un qualche scopo, ha attraversato una attività che lo ha consumato. Questo non vale per Odradek. (…) La storia di Odradek è irraggiungibile, come se fosse inghiottita. Odradek, eternità fuori dalla storia, rende vana qualsiasi prospettiva di anamnesi. Tutto si concentra in un oggetto, resto incongruo, derisorio, segno puntuale e irriducibile di un aldilà. Questo oggetto vien fuori dal passato? E’ presente? O ritorna dal futuro? Prodotto fuori dal tempo, resto assoluto, questo rocchetto, nella sua corsa in giro per la casa, si prende gioco della memoria. (…) esso indica il carattere illusorio di qualsiasi sviluppo temporale. La nascita di un bambino può incarnare tutto ciò. Come Odradek, infatti, il bambino implica una logica temporale particolare , in cui un evento può essere innanzitutto futuro, prima di essere presente e di divenire, poi, passato.”

[6] Legouil, F. “De la nature du consentment des analysants aux séances courtes”, in La cause freudienne, n. 46, 2000.

[7] Han, B. L’espulsione dell’Altro, Nottetempo, 2017