Roberto Pozzetti

La pulsione è il concetto fondamentale che ci pone in una posizione divergente rispetto a quanti non si riconoscono nel campo della psicoanalisi.
Nel confronto con la polis dei colleghi psicoanalisti, invece, gli elementi di controversia principale dell’orientamento lacaniano sono il tempo variabile/breve della seduta e il desiderio dell’analista.
E’ riduttivo fare di tutta l’erba un fascio trascurando le differenze fra la Ego psychology e le teorie sulle relazioni oggettuali come non è giusto tralasciare le distinzioni fra le molteplici correnti analitiche attuali. Sarebbe semplicistico credere che le concezioni di autori come la Klein, Paula Heimann e Money-Kyrle, citati da Lacan a proposito del controtransfert e del “livello di credenza quasi magica che presuppone”[1] siano riepilogative di tutte quelle dei teorici della psicoanalisi oggigiorno. Lacan criticava principalmente le posizioni intersoggettive che trovavano il loro apice nell’espressione di Rickman e di Balint “two bodies’ psychology”. Balint “crede di uscire dalla one body’s psychology. Ma è evidente che la two bodies’ psychology è ancora una relazione fra oggetto e oggetto. […] Balint è invischiato in una relazione duale”[2]. L’analisi, dal momento in cui si riconosce l’ordine simbolico e il campo del significante è ben diversa da una relazione duale. “In effetti se si resta sul piano dei due corpi non c’è alcuna simbolizzazione soddisfacente”[3]. Dunque, il fatto è che “il transfert fa di per sé obiezione all’intersoggettività”[4]. L’analisi lacaniana, anziché essere relazione simmetrica fra due alla pari, si impernia sullo spazio lasciato al soggetto analizzante da parte dell’analista che si colloca in posizione di oggetto, di sembiante dell’oggetto causa del desiderio. “Lo psicoanalista nella psicoanalisi non è soggetto e, se si situa il suo atto, […] egli opera in quanto non pensa”[5]. Lacan ha sempre sottolineato quanto siano pericolose le “posizioni di controtransfert, a causa delle quali non si capisce nulla del malato con cui si ha a che fare”[6]. Si riferiva, comunque, principalmente a questa concezione della psicoanalisi come esperienza a due.
Oggigiorno, molti analisti non lacaniani trovano comunque datata questa pratica come conoscenza a due. Certamente l’evoluzione della psicoanalisi contemporanea verso la terzietà, per riferirci a un’espressione che si ritrova in autori post-bioniani come Ogden, ha delle attinenze con il “costituente ternario”[7] dell’analisi dato dal soggetto supposto sapere quale perno dell’articolazione transferale. Ogden parla appunto del “terzo analitico” come di un “terzo soggetto di analisi costruito congiuntamente, ma asimmetricamente, dalla coppia analitica”[8]. Interessante mi sembra questa asimmetria, indispensabile per riconoscere la disparità dell’ordine simbolico. Miller osserva che “il terzo analitico è un modo di avvicinare il grande Altro, ma sotto forma di uno spazio intersoggettivo inconscio in cui non si sa più chi sogna”[9] in quanto il sogno è frutto di questo terzo analitico.
Pure Civitarese nota come “la provincia intermedia” della nevrosi di transfert sia il simbolico: “lo Zwischenreich, termine con cui Freud indica l’intersezione di due aree intermedie (nelle Opere è tradotto come “provincia intermedia”[10]) che fondano il soggetto, il piano orizzontale del transfert inteso come il qualcosa che sta tra il passato e il presente e tra il paziente e l’analista, e il piano verticale delle pulsioni, di ciò che sta tra il corpo e la psiche, è dunque l’area del simbolico”[11]. Vi è senza dubbio in questi colleghi, oggigiorno, un riferimento al campo dell’Altro, all’Altro del simbolico. La nevrosi di transfert viene giustamente letta come area del simbolico al cui cuore – aggiungiamo noi – sta l’oggetto che manca al simbolico. Quello di cui sono sprovvisti questi colleghi è il desiderio dell’analista imperniato sull’operatività dell’analista a partire dalla posizione di oggetto, di sembiante dell’oggetto causa del desiderio.
L’orientamento lacaniano è l’unico a sostenere che si tratti di mettere all’opera in seduta un desiderio deciso chiamato desiderio dell’analista. Gli autori attuali che abbiamo citato sostengono anch’essi, abbastanza esplicitamente, un certo superamento della tematica del controtransfert in nome di un terzo simbolico. Manca loro, tuttavia, il desiderio dell’analista. Nessun filone della psicoanalisi non lacaniana ha mai operato ponendo al cuore della propria esperienza il desiderio dell’analista.
La linea cruciale, quanto al desiderio dell’analista, è quella di una domanda vuota imperniata sulla posizione di oggetto dell’analista, in seduta. Si domanda soltanto che l’analizzante prosegua la propria analisi, senza domandare che l’analizzante si sposi, senza aspettarsi nulla quanto alla sessualità, senza domandare un cambiamento professionale.
Uno dei fattori che impediscono ai colleghi volti a ricostruire il luogo dell’Altro simbolico di giungere al desiderio dell’analista, oltre alla carenza nello studio della linguistica, credo stia nel timing cronologico anziché logico di una seduta. Quando si stabilisce un tempo per la durata della seduta, in 40 o 45 minuti, da rispettare pedissequamente facendone un “contenitore”, l’analista si trova dinanzi a un problema. Ha il problema di riempire la seduta riversandoci fronzoli, orpelli, inezie; primo fra questi è il proprio pensiero, il proprio fantasticare. Uno dei risultati “delle sedute prolungate è quello di liberare nell’analista tutta una attività mentale, che invece negli psicoanalisti lacaniani è inibita dalla durata più ristretta della seduta analitica”[12]. La mia tesi fondamentale è che vi sia un collegamento fra i due elementi criticati dai colleghi non lacaniani: il tempo variabile della seduta e il desiderio dell’analista. Credo vi sia uno stretto nesso fra l’ascoltare con “entusiasmo”[13] l’analizzante, sostenendo la posizione di oggetto di scarto sulla quale si impernia il desiderio dell’analista, e il tempo stesso della seduta. Seduta che, dopo il giusto e anche ampio percorso dei colloqui preliminari, va svolta secondo un tempo variabile ma spesso breve. Questo permette maggiormente di produrre la “differenza assoluta” isolando i significanti fondamentali e il reale dell’essenziale singolarità del soggetto. Differenza assoluta che, al contrario di orientamenti clinici volti a una certa identificazione con l’analista, è soprattutto caduta dell’ideale e instaurazione di un nuovo legame sociale grazie alla disidentificazione dallo stile del proprio analista.

[1]J. Lacan, Il seminario. Libro VIII. Il transfert 1960-1961, Einaudi, Torino, 2008, p. 203.
[2]J. Lacan, Il seminario. Libro I. Gli scritti tecnici di Freud 1953-1954, Einaudi, Torino, 2014, p. 242.
[3]Ivi, p. 267.
[4]J. Lacan, Proposta del 9 ottobre 1967 sullo psicoanalista della scuola in Altri Scritti, Einaudi, Torino, 2013, p. 245.
[5]J. Lacan, L’atto psicoanalitico in Altri scritti, Einaudi, Torino, 2013, p. 371.
[6]J. Lacan,Il seminario. Libro VI. Il desiderio e la sua interpretazione 1958-1959, Einaudi, Torino, 2016, p. 320.
[7]J. Lacan, Proposta del 9 ottobre 1967 sullo psicoanalista della scuola in Altri Scritti, Einaudi, Torino, 2013, p. 247.
[8]T. H. Ogden, L’arte della psicoanalisi. Sognare sogni non sognati, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2008, p. 8.
[9]J.-A. Miller, Il disincanto della psicoanalisi in La Psicoanalisi, n. 38, Astrolabio, Roma, 2005, p. 146.
[10]S. Freud, Ricordare, ripetere, rielaborare in Nuovi consigli sulla tecnica della psicoanalisi, Opere, Volume 7, Bollati Boringhieri, Torino, 1989, p. 360.
[11]G. Civitarese, L’intermedietà come paradigma epistemologico in psicoanalisi in I sensi e l’inconscio, Borla, Roma, 2014.
[12]J.-A. Miller, Il disincanto della psicoanalisi in La Psicoanalisi, n. 38, Astrolabio, Roma, 2005, p. 142.
[13]J. Lacan, Nota italiana in Altri scritti, Einaudi, Torino, 2013, p. 305.