Omar Battisti
Nella seduta del 22 maggio 1963, Lacan inizia dicendo che “l’esperienza psicoanalitica deve essere essa stessa orientata, altrimenti si smarrisce”[1], ritornando diverse volte sulla questione dell’orientamento, che riguarda “addirittura […] una rettifica del desiderio – che lascia però interamente aperta e in sospeso la nozione del desiderio e richiede la sua perpetua rimessa in questione”[2]senza la quale “non possiamo che smarrirci nella rete infinita del significante, oppure ricadere nelle vie più ordinarie della psicologia tradizionale”[3].
Miller intitola la serie dei suoi corsi L’orientamento lacaniano e nel testo Una fantasia parla dei soggetti contemporanei come “smarriti, [che] hanno perso la bussola”[4].
L’esistenza stessa della psicoanalisi nel nostro tempo dipende da questo orientamento, che si tratta di mettere in atto di volta in volta, nei luoghi e con i soggetti con cui ciascuno opera.
La promozione del termine orientamento mi porta a segnare una differenza con un testo fondamentale di Lacan, La direzione della cura. Dirigere un cura è equivalente ad orientare un esperienza?
Parlare di esperienza e non di cura permette di ampliare il campo di riferimento a cui legare questo orientamento. Mettendo tra parentesi la questione terapeutica, per intervenire anzitutto su quello smarrimento muto, silente e senza senso che porta a interrogare e mettere in questione lo statuto stesso della domanda come parola indirizzata all’Altro sulla propria sofferenza.
In L’inconscio e il corpo parlante Miller promuove quella che chiama “la trilogia di ferro”[5]costituita dalla serie “Debilità – delirio – abbindolamento”[6]come ciò che può fungere da bussola: “Essere abbindolato da un reale – cosa che io vanto – è l’unica lucidità aperta al corpo parlante per orientarsi”[7].
Il passaggio dalla cura all’esperienza e dalla direzione all’orientamento direi che comporta un diverso approccio con il sintomo, come qualcosa che non si tratta più tanto di curare, ma piuttosto da prendere come portatore di un insopportabile da tessere, circoscrivere, isolare ed estrarre. Forse, al di qua della rettifica del desiderio di cui parlava Lacan, oggi è necessario anzitutto, con quei soggetti smarriti e che hanno perso la bussola, incidere su quell’arrangiarsi da solo che emerge in primo piano nel disorientamento e che può condurre verso il peggio.
A questo livello, tra debilità – delirio – abbindolamento, si tratta di “montare un discorso in cui i sembianti stringono un reale, un reale a cui credere senza aderirvi”[8], ovvero mobilitare un annodamento tra il non volerne sapere e quell’irriducibile certezza vincolata al proprio modo di godere, in cui il reale sia quella bussola che punti a rendere più vivibile e soddisfacente la vita che c’è da vivere.
Per questo è prioritaria “la presenza dell’analista […] reale in quanto inconscia. […] la sua presenza silenziosa […], il nucleo reale attorno a cui ruota il lavoro dell’inconscio transferale”[9].
[1]J. Lacan, Il seminario. Libro X. L’angoscia, Einaudi, Torino 2007, p. 265.
[2]Ibid., p. 269.
[3]Ivi.
[4]J.-A. Miller, Una fantasia, in La psicoanalisi, n. 38, Astrolabio, Roma 2004, p. 17.
[5]J.-A. Miller, L’inconscio e il corpo parlante, in Scilicet. Il corpo parlante. Sull’inconscio nel secolo XXI, Alpes, Roma 2016, p. XXXI.
[6]Ivi.
[7]Ivi.
[8]Ivi.
[9]D. Cosenza, Emergenze di reale nel transfert analitico, sul sito: http://www.slp-cf.it/emergenze-reale-nel-transfert-analitico/