Laura Freni

Nell’ultima parte del saggio “Analisi terminabile e interminabile”[1] Freud mette in serie le tre professioni “impossibili”: educare, governare e psicoanalizzare, impossibili perchè il loro “esito insoddisfacente è scontato in anticipo”.
Ciò che le accomunerebbe è un Soggetto Supposto Sapere al quale appellarsi affinchè le promesse di soddisfazione e benessere del soggetto vengano mantenute. Ne discende da un lato una posizione di potere, dall’altro una facile destituzione, in base alle pratiche di valutazione che regolano l’epoca contemporanea, e che producono un forte disagio nelle cosiddette “categorie” professionali, il cui operare è invalidato da giudizi di inadeguatezza, incompetenza, incapacità.
La psicoanalisi si sottrae a questa logica poiché lo psicoanalista sa che il Soggetto Supposto Sapere non è la posizione in cui istallarsi, se la occupa, dalla parte dell’analizzante all’inizio di una analisi, è solo per far sì che si inneschi un processo che dovrà essere sostenuto da un ferreo e fondato desiderio dell’analista.
Per questo possiamo affermare che la psicoanalisi, a differenza delle altre due, non è una professione. E’ una pratica che opera attraverso la regola della libera associazione affinchè le leggi dell’inconscio –strutturato come un linguaggio- si manifestino nella parola dell’analizzante sotto forma di un enigma che lo concerne.
La psicoanalisi è un’esperienza nella quale l’oggetto deve advenirecome causa e non come fine, quindi è una pratica eccezionale, nel senso che fa eccezione, nel campo dell’umano, dove il possesso dell’oggetto determina la sua estinzione in quanto “oggetto di desiderio” e perpetua una serie infinita di desideri anonimi verso oggetti indefiniti.
Lacan nell’ultima parte del VII Seminario [2] intitolata “La domanda di felicità e la promessa analitica” afferma: “Che cosa può essere un tale desiderio, il desiderio dell’analista per citarlo? Fin d’ora, possiamo in ogni caso dire quel che non può essere. Non può desiderare l’impossibile”.
L’irriducibilità del godimento è l’impossibile che l’analista ha toccato con mano e di cui ha fatto la cifra della sua soggettività, la domanda di felicità è un ideale che l’analisi non promette in quanto mira al reale, non c’è Altro dell’Altro, nessuna garanzia.
Nel consentire che il desiderio dell’analista, desiderio di niente, destituzione del soggetto, operi, egli può far spazio alla produzione di un atto. Afferma Lacan ne “L’atto psicoanalitico”[3]: “Si deve pertanto avanzare che lo psicoanalista non è soggetto, e che, se situa il suo atto secondo la topologia ideale dell’oggetto a, se ne deduce che egli opera in quanto non pensa”. Di questa operazione fondamentale lo psicoanalista può dare testimonianza con la parola, lo constatiamo nelle testimonianze di passe. L’incidenza dell’esperienza della psicoanalisi modifica il rapporto con il godimento e la consapevolezza che ne deriva gli permette di farsi causa per altri, a partire dallo scarto che è giunto ad essere.
Il desiderio dell’analista realizza il dovere etico della posizione dell’analista, fuori dalle logiche di mercato del significante padrone che impone un saperci fare “oggettivamente” dimostrabile.
Ancora nello stesso testo [4] Lacan parla dell’umiltà del limite con cui l’atto si presenta all’esperienza dello psicoanalista, capace di coglierne la portata proprio a partire dalla messa in questione di una prassi uguale per tutti. A tal proposito Miller [5] afferma che un analista continua ad apprendere dal proprio inconscio, è una lezione di umiltà, una parola carica di significato per l’analista installato nella sua funzione. Se la definizione semantica rimanda a un sentimento e conseguente comportamento improntato alla consapevolezza del proprio limite e al distacco da ogni forma di orgoglio e sicurezza eccessivi di sé, la radice etimologica di umile viene da humus (terra), la stessa di uomo, quindi riguarda ciò che c’è dell’umano, del rapporto che il soggetto umano ha con quanto gli è proprio, che è l’inconscio. Lo psicoanalista è umile nella misura in cui non crede che la sua posizione lo metta fuori dal campo del godimento.
Il desiderio che lo anima nella causa verso la psicoanalisi è un desiderio di differenza assoluta, privo di qualsiasi orpello fallico su cui sostenersi. Non a caso Lacan avvicina la posizione dello psicoanalista a quella femminile.
La psicoanalisi opera con questi strumenti su soggetti disorientati e angosciati dalle aporie dell’era contemporanea. La lezione di umiltà di cui si fa portatrice potrebbe suggerire una modalità inedita e attuale per rafforzare il legame sociale, di cui i sintomi denunciano l’inconsistenza, a far segno del disagio dell’epoca dell’Altro che non esiste.

[1] Freud S., “Analisi terminabile e interminabile”, (1937) in Opere vol. XI, Bollati Boringhieri ed. Torino, 1979.
[2] Lacan J., Il Seminario Libro VII, “L’etica della psicoanalisi”, 1959-1960, Einaudi ed. Torino, 2008.
[3] Lacan J, “L’atto psicoanalitico”, in Altri scritti, edizione italiana a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi ed. Torino, 2013, pag. 371.
[4] ibidem
[5] Miller J.A.,” Choses de finesse en psychanalyse”, lezione II, Corso del 19 novembre 2008, pubblicato in italiano ne “La Psicoanalisi” n. 58, Luglio-Dicembre 2015, pp. 150 e seguenti.