Domenico Cosenza
Il XII Congresso nazionale della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi, che terremo a Roma il 14 e 15 giugno, si pone l’obiettivo di una messa a punto sulla questione del transfert analitico, in particolare alla luce di due vertici.
Il primo vertice è costituito dalla contemporaneità, dal mondo in cui siamo immersi e dalla logica del capitalismo avanzato, dei suoi cicli e delle sue crisi periodiche che lo contraddistinguono. Movimentazioni alterne che delineano tuttavia un itinerario retto da un principio interno, che Lacan definiva in Radiofonia come quello di una produzione estensiva, “[…] insaziabile, della mancanza-a-godere” . Cosa ne sia del transfert analitico oggi, nel tempo storico in cui il godimento è allo zenit sociale e lo spazio della mancanza è continuamente otturato dal ricorso all’oggetto di godimento, è una questione essenziale. C’è da chiedersi infatti quali effetti la pervasività del discorso capitalistico produca nella vita del soggetto e se, e in che misura, essa incida sulla istituzione delle condizioni stesse del transfert analitico.
L’esperienza clinica degli ultimi decenni ci mostra infatti quanto sia divenuto più difficile incontrare, in modo particolare nell’ambito dei cosiddetti nuovi sintomi, le condizioni d’istallazione del transfert come soggetto supposto sapere, e ciò che ne caratterizza il funzionamento: a) il reperimento nella propria sofferenza di un significante enigmatico (ciò che Lacan chiama “il significante del transfert”); b) l’orientamento verso un analista di tale questione enigmatica da parte del soggetto, attraverso una domanda non solo terapeutica ma sull’enigma inconscio del proprio patire. Queste condizioni, nelle quali Lacan ha formalizzato nella sua Proposta del 9 ottobre 1967 sullo psicoanalista della Scuola i matemi dell’istallazione del transfert come soggetto supposto sapere, non sono più così reperibili oggi quando incontriamo delle persone che ci vengono a trovare nei nostri studi. Non solo i sintomi tendono meno a fare enigma per il soggetto (e in questo senso l’uso stesso della parola sintomo in senso freudiano è problematica per questi casi), ma correlativamente anche la funzione di sembiante d’oggetto dell’analista si mostra problematica nella sua istallazione, e tende spesso a lasciare tutto il campo per il soggetto alla relazione speculare. Fare luce sulle impasse odierne del soggetto supposto sapere è dunque un aspetto importante dell’aggiornamento necessario sulla questione del transfert che stiamo cercando di compiere.
Il secondo vertice al cuore del lavoro del nostro Convegno è costituito dal tentativo di costeggiare il litorale dell’esperienza del transfert in analisi, cioè ciò che non è riconducibile nel transfert né al versante immaginario-speculare, né alla dimensione simbolica del soggetto supposto sapere. Potremmo forse usare l’espressione “la lettera nel transfert” per provare a dire ciò verso cui cercheremo di focalizzare la nostra ricerca nel Convegno, ma anche il nostro dibattito preparatorio.
Con ciò intendiamo dire che, in linea col titolo che abbiamo scelto per il nostro Convegno, Il transfert tra amore e godimento, siamo interessati in particolare a mettere un po’ più in luce quel lato del transfert più oscuro, fuori senso, che rende possibile e sostiene silenziosamente il lavoro dell’analisi, dal suo avvio alla sua conclusione. Dimensione che fa emergere la funzione del reale nell’esperienza analitica o, come è stato scritto di recente, il “[…] transfert nel suo versante reale […]” .
Mi limito qui ad indicare quattro angolature a partire dalle quali è possibile orientare questa ricerca sulla funzione del reale nel transfert analitico.
1. La dimensione dell’incontro.
Il transfert analitico suppone l’incontro con un analista come sua condizione di attivazione e di esistenza. E l’incontro mette in gioco una dimensione reale e contingente, non preventivabile, che fa precipitare la scelta verso un analista. È quanto Lacan riconduce nel Seminario XI alla dimensione della tyche, come dimensione strutturalmente imprevista al cuore dell’incontro analitico. L’incontro con il reale è quanto nell’amore mette in gioco la contingenza, conducendo il soggetto al di là dell’automaton della ripetizione. Come dice Lacan nel Seminario XX, a cessare di non scrivere. Solo a posteriori sarà veramente possibile, come mostrano in modo chiaro le testimonianze di passe, isolare la dimensione letterale di godimento, imbricata all’oggetto pulsionale, che ha orientato la scelta dell’analista (un tono della voce, …), al di là delle elucubrazioni immaginarie che l’hanno contornata.
2. La presenza reale dell’analista.
L’esperienza analitica è una convocazione regolare ad un incontro con un analista nel luogo dell’analisi. Ma non è solo l’analizzante ad essere convocato a questo incontro. Lacan ci dice nel Seminario VIII che questa convocazione riguarda anche l’analista, e che egli è convocato ad ogni incontro con l’analizzante in un posto preciso ed in una modalità altrettanto precisa. Infatti egli è convocato nel posto in cui è supposto sapere, e non in un altro. Quando si fa trovare in un altro posto, non è istallato nel posto giusto, e l’incontro analitico non avviene. E in questo posto in cui è supposto sapere egli è chiamato a non essere nient’altro che la presenza reale, in quanto essa è inconscia . Come intendere questa presenza reale in quanto inconscia? È il cuore enigmatico della convocazione analitica, che non ammette delega o procura ma richiede l’incontro in presenza, il corpo a corpo. Questo incontro non è una comunicazione, anche se almeno l’analizzante è chiamato a dire. La presenza dell’analista è reale in quanto inconscia. Egli presentifica qui in seduta l’inconscio in quanto pulsione. Incarna con la sua presenza silenziosa la base reale su cui poggia il transfert analitico, il nucleo reale attorno a cui ruota il lavoro dell’inconscio transferale.
3. Il godimento della parola.
Parlare è godere. L’analisi lo mostra in modo chiaro, fin da Freud, fin dallo svelamento nel lamento del nevrotico della sua dimensione erogena. Ciò diventa sempre più evidente nell’esperienza analitica portata alle estreme conseguenze, quanto più si giunge ad erodere le pretese di senso del soggetto supposto sapere, e si resta dinanzi all’incontro con la presenza reale in quanto inconscia che l’analista incarna per l’analizzante, come sembiante dell’oggetto che causa il suo desiderio, sprovvisto ormai di senso. Dinanzi a questo punto di orrore, l’analizzante sperimenta che qualcosa lo trattiene nell’analisi in una posizione non analitica, cioè qualcosa si oppone in lui a fare i conti con il suo reale e a rinunciare al godimento della parola in analisi. Tale godimento della parola opera contro il lavoro analizzante , diviene un ostacolo interno all’analisi, ancora più evidente quando il soggetto supposto sapere è caduto.
4. Il desiderio dell’analista.
Il desiderio dell’analista è motore reale del transfert. Senza di esso, fin da Freud, non ci sarebbe stato discorso analitico né talking cure. Lacan lo dice laddove indica in esso “[…] una mutazione nell’economia del suo desiderio” e quando ci dice che, al di là della supposizione di sapere, in ultima analisi, “[…] dietro al cosiddetto amore di transfert, c’è l’affermazione del legame del desiderio dell’analista con il desiderio del paziente” . Non si tratta affatto però d’intendere questa tesi nel quadro di una referenza diadica . Si tratta piuttosto di leggerla come l’effetto di un lavoro di riduzione, come sembra indicarci Jacques-Alain Miller nella sua recente ridefinizione del desiderio dell’analista. Esso, scrive Miller, “[…] non è un desiderio puro, come dice Lacan, non una pura metonimia infinita, ma, così ci appare, il desiderio di arrivare al reale, di ridurre l’altro al suo reale e di liberarlo dal senso” .
[Testo pubblicato in Appunti speciale, giugno 2014]