Paola Francesconi

Nell’Atto di Fondazione del 1964 Lacan faceva del cartello una modalità prioritaria di impegno nella Scuola, uno dei due modi di entrata nella Scuola, ovvero: ogni entrata nella Scuola implicava un progetto, un’offerta di lavoro. La struttura borromea del cartello, 4+1, e non 5 tra cui un coordinatore, metteva in rilievo la forma bucata di un accesso collettivo al sapere: il legame istituito dal desiderio di sapere, di mettere al lavoro un argomento, è un legame bucato da un elemento eterogeneo.
Il dispositivo cartello prendeva una rilevanza massima nel momento in cui si trattava, per Lacan, di dare forma istituzionale alla traduzione di un insegnamento in un collettivo, alle condizioni per le quali qualcosa sia trasmissibile. Il sapere che egli ha voluto promuovere a partire dal cartello, fino alle sue conseguenze più ultime nel Cartello della passe, che non a caso è un cartello, e non un comitato di ammissione, è un sapere il cui godimento è castrato. Se c’è desiderio di sapere, è perché il godimento della sua acquisizione, o della sua trasmissione, è castrato, come ogni godimento in psicoanalisi.
Dunque 4+1, e non 5, la cui struttura di nodo, come Lacan la definisce, disegna un vuoto centrale, scavato da un elemento che assicura la tenuta dell’insieme senza esservi contato, permette l’annodamento ma non a mo’ di elemento mancante, bensì di elemento che decompleta, che consente l’operazione del lavoro di un piccolo collettivo, sottraendovi la propria insegna.
Attualmente il cartello occupa una posizione più marginale nella Scuola, se facciamo eccezione per il Cartello della passe che conserva invece la sua centralità nell’istituzione analitica.
Siamo qui a rilanciare questo strumento, alla luce di quanto in questi anni è avvenuto nella nostra Scuola e del rapporto al sapere in quanto radicalmente alternativo al sapere universitario. Il rapporto di ognuno al sapere è sempre particolarizzato, ovvero implica sempre un godimento. E’ per questo che riteniamo che un gruppo di lettura, un gruppo di studio discendano da una matrice universitaria, e generalizzino la soddisfazione implicata nel suo esercizio: così si viene ad obnubilare la valenza di buco, che l’inconscio scava in ogni sapere per provocare il soggetto a trattare in modo a lui particolare questo vuoto centrale, questa Cosa che è al fondo di ogni causa soggettiva, dalla più nobile alla più ignobile.
È per questo motivo che Lacan, in D’Ecolage  esplicitava che il compito che ciascuno svolge nel cartello, nella sua ricerca, non potesse fare a meno della propria esperienza soggettiva quale è l’esperienza analitica. Perché Lacan investe il cartello di un compito così alto, quale quello di “dimostrare ciò che qualcuno fa del sapere che l’esperienza depone” ? È necessario essere in analisi per lavorare in cartello? E allora cosa ha di propedeutico un cartello? Non serve forse ad avvicinare le persone alla psicoanalisi, è per iniziati, per quanto iniziati “all’inizio”?
È un fatto che la maggior parte delle persone che lavorano in cartello è in analisi, e questo ci interroga, al di là dei falsi dilemmi tra sapere élitario o democratico, che copre solo ideologicamente il reale in questione nel cartello, in questo piccolo gioiello di funzionamento di un rapporto con il sapere in psicoanalisi. È vero che il cartello può essere introduttivo all’insegnamento di Lacan, ma è sempre connesso, decompletato dall’esperienza analitica che sola consente di rendere operativo, e non solo frustrante, il buco nel sapere.
Un gruppo di studio, allorché incontra il reale di un limite al sapere, denuncia il proprio fallimento: il discorso del padrone, o il discorso universitario, distinti solo per la posizione del significante padrone, che nel primo è nel posto dell’agente e nel secondo è nel posto della verità, ovvero è rimosso, ma operante, ambedue questi discorsi reggono i gruppi di studio o di lettura. Dove è in esercizio il discorso del padrone/universitario, lo sbocco, l’incontro con il reale, con la contingenza, è sempre all’insegna dell’impotenza, dello scacco. Il discorso analitico, che pone il fallimento al passo della riuscita, è invece quello che opera nel cartello; per questo il sapere lì messo in questione è legato all’inconscio, all’esperienza del sapere inconscio individuale. Perciò Lacan dice che “ciascuno avrà libero corso di dimostrare ciò che egli fa del sapere che l’esperienza depone”. Il reale che l’esperienza ha reso possibile trattare e che, in tal modo, si è depositato tra le sue formazioni dell’inconscio, non più sfuggente o traumatizzante, ma circoscritto in esse, “più uno” tra di esse, eterogeneo, ma inquadrato.
È vero che i cartelli non sono oggi strettamente cartelli della Scuola, in alcuni di essi partecipano persone che non sono della Scuola, purtuttavia il fatto di dichiararsi alla Scuola disegna oggi comunque una modalità di appello al sapere della Scuola.
Qui interviene la questione delicata e cruciale del rapporto intime/éxtime. Da due anni a questa parte il nostro orientamento di fondo è stato quello di articolare, in tutto ciò che disegnasse le prospettive politiche, cliniche, epistemologiche della Scuola, la giunzione particolare, che l’inconscio ci insegna essergli costitutiva, tra intime ed éxtime. Così è stato per l’articolazione nuova tra locale e nazionale, per la scommessa sulla scrittura e sulle pubblicazioni, per la politica di collaborazione con la Scuole dell’AMP, per la politica di promozione della passe nella SLP, ed ora anche per il cartello. In tutti questi registri, ivi compresa la politica di accoglimento delle domande di partecipazione alla SLP, si è considerata primaria la verifica di una giunzione in atto tra il proprio intimo e l’estimo, che poteva essere il nazionale, la rivista, l’appartenenza alla Scuola, la testimonianza di passe. Anche nel cartello si tratta di questo: perciò occorre che ciò che si è depositato nell’intimo di un soggetto possa connettersi, in ciò che muove il soggetto al lavoro di cartello, all’estimo del sapere interrogato. Pena la ricaduta nel sapere universitario.
Tra i compiti del più uno, oltre quello di assegnare ai prodotti di ciascuno il proprio posto nel contesto di Scuola, e senz’altro affronteremo questo nel corso di questa giornata, è anche quello di far sì che il cartello possa incontrare la Scuola, il che non è accaduto in questi anni, in cui, appunto, esso ha occupato una posizione marginale. Si tratta ora di rendere presente la Scuola, e non solo la psicoanalisi tout court, per il cartello. Carlo Viganò si era applicato a questa rifondazione dell’insieme cartelli, ma le forze lo hanno abbandonato prima che potesse vedere i risultati del suo sforzo. Amelia Barbui ha ora preso in mano questa scommessa di promozione del nuovo incontro tra SLP e cartelli. L’articolazione tra la sua funzione e i più uno, tra le istanze di interfaccia con la Scuola potrà presentificare nella rete dei cartelli l’agalma della Scuola. Agalmatizzare la Scuola è stata del resto una delle parole d’ordine di questi anni di ricentramento della politica della psicoanalisi sulla presa in conto dell’inconscio a tutti i livelli dell’estensione.
Amelia Barbui, come Responsabile Nazionale ai Cartelli, presentifica l’agalma dei cartelli.
Un’ultima notazione. Lacan definiva l’elaborazione che avviene in un cartello un’elaborazione sostenuta “in” e non “da” un piccolo gruppo. Credo che questo possa concludere questa mia introduzione, prima di passare la parola al Responsabile Nazionale. Un’elaborazione deve essere sostenuta, non va da sé, non è un lavoro forzato universitario, ma vi deve operare una causa. Dove? “in “ non “da”, “in”… dove? Appunto, da qualche parte nel gruppo, non da qualcuno che fa da traino, ma da qualcosa di insituabile, non coincidente in un tratto, in una identificazione al capo, al leader…
Iscriversi in un catalogo dei cartelli è mettere lì la propria marca, il proprio tratto e, grazie all’elaborazione sostenuta da qualcosa “in” un gruppo, e non “da” un gruppo, trasformare tutto ciò in scrittura, sciogliere il tratto di iscrizione in lettere depositate nel proprio prodotto singolare, e non potrebbe essere che così.

[Testo pubblicato in Appunti, dicembre 2012]