Maurizio Mazzotti

La Scuola Lacaniana di Psicoanalisi ha dieci anni quest’anno.
Ricordo ancora molto bene la riunione di Milano del maggio 2002 , alla casa della Cultura.
Il momento della fondazione della Scuola, con Jacques-Alain Miller, Judith Miller e la compianta Gennie Lemoine. Fu un momento intenso, che coronava un impegno messo da parte di tanti, per un risultato voluto e atteso. Avevamo così una Scuola italiana del Campo Freudiano che nominava diversamente la nostra comunità di lavoro rispetto ai diversi nomi che si erano succeduti nel tempo, da quelli parziali dei vari gruppi d’origine a quelli istituzionali successivi, che indicavano la nostra appartenenza all’insieme più vasto dell’allora Scuola Europea. La SLP nominava per la prima volta ciò rispetto a cui eravamo ingaggiati direttamente, nell’assumercene la responsabilità, nell’autorizzarci a sostenere un transfert di lavoro nella prospettiva della formazione dello psicoanalista e della trasmissione della psicoanalisi. Nel diventare membri della Scuola assumevamo anche una sorta di stato civile nella psicoanalisi, soprattutto noi lacaniani della prima ora, che avevamo sentito più di altri l’ostracismo storico della psicoanalisi cosiddetta ufficiale, che si pensava e voleva accreditarsi come l’unica con le carte in regola. Fondando la Scuola non solo noi ma le generazioni a venire non avrebbero più dovuto confrontarsi con una marginalità istituzionale, o con un velleitarismo da piccolo gruppo.
Jacques-Alain Miller aveva creduto nella comunità italiana, da lui incontrata già molti anni prima, al punto di prospettare per essa la creazione di una Scuola che si inserisse a pieno titolo nell’insieme dell’AMP, cioè il progetto che ha condotto il lacanismo al di fuori dei limiti gruppali o nazionali, ristretti quindi in ogni caso, in cui si trovava, inesplicabilmente, confinato. Nel sottolineare questo aspetto sento ancora necessario ricordare il debito che abbiamo nei confronti dell’azione che fu allora di Jacques-Alain Miller, quella di costruire per un’insieme globale una casa comune, in cui riconoscersi attorno ad una stessa causa, degna di impegnare ciascuno nel proprio desiderio, la causa di Lacan, la causa della psicoanalisi lacaniana.
Dieci anni fa è cambiata la nostra storia in relazione alla psicoanalisi, la SLP e’ nata come discontinuità, rispetto a tutto ciò che l’ha preceduta. La SLP era il nome di una discontinuità con un passato, glorioso o marginale che fosse,  di cui abbiamo anche in gran parte raccontato la storia nelle fasi costituende della Scuola, in cinque numeri di Appunti (dal 73 al 77), che forse, oggi, in occasione del decennale, ha un senso ricordare.
Il Convegno milanese che aveva preceduto di una giornata la fondazione della SLP aveva per tema “La primavera della psicoanalisi, gli psicoanalisti e la città”. In esso si metteva a tema l’urgenza di non lasciar confluire la psicoanalisi in quell’imporsi generale di procedure ‘psi’ orientate e organizzate dall’imperativo dell’utile diretto e sorrette da una pedagogia riduttiva e costrittiva del sapere, che già allora si manifestava non solo sul piano culturale ma anche delle politiche sanitarie. Da qui il riferimento alla “primavera” della psicoanalisi, ad un’ apertura positiva, una sorta di nuovo approccio del movimento psicoanalitico verso la “città” per testimoniare più incisivamente della differenza della psicoanalisi in quanto fattore di progresso in seno alla società civile. Un nuovo modo di ripensare quella extraterritorialità della psicoanalisi che per molto tempo si è  tradotta in “cittadella” analitica, un po’ chiusa ed impermeabile alle trasformazioni che attraversano la “città”, il sociale. Non si trattava di rigettare l’extraterritorialità, che ha il suo senso nella misura in cui vuol dire che la psicoanalisi trova al suo interno i mezzi e le procedure che rispondono della formazione degli psicoanalisti, che è, come disse anni dopo Jacques-Alain Miller, necessario mantenere la psicoanalisi in una sorta di “enclave” dove si discute, si elabora, si insegna, si trasmette in intensione, senza condizionamenti o suggestioni che promanano dal discorso del padrone e dalle sue aspettative di risultati e/o di efficacia. Il nucleo del nucleo di questa enclave è la passe, a cui si affiancano e si articolano altri momenti  di discussione clinica e scientifica. Questa extraterritorialità è un punto di forza della psicoanalisi, è una pietra angolare su cui prendere appoggio sicuro e orientato per un nuovo dialogo, una nuova comunicazione con la “città” e con le trasformazioni incessanti e imperative a cui va incontro il discorso del padrone contemporaneo.
Ricordo questo punto perché possiamo considerarlo esso stesso una sorta di viatico della fondazione della nostra Scuola, non solo una coincidenza di dibattito avvenuta dieci anni orsono. La Scuola nasceva sotto gli auspici di questa primavera, di questa dialettica tra extraterritorialità e apertura alla città. Dunque nasceva sotto i migliori auspici per una comunità psicoanalitica lacaniana, una comunità che trova nell’insegnamento di Lacan questa stessa dialettica sempre e costantemente in movimento, scandita in epoche diverse ma sempre attiva e prospettica. Ne siamo convinti al punto da ritenere che quella lacaniana sia, anche per questa ragione, la psicoanalisi del XXI secolo, capace, proprio per questa tensione dialettica che l’attraversa, di avanzare nell’epoca della dissoluzione esponenziale del del nome del padre, che Freud ha potuto intravvedere  quando ha dato peso all’incidenza della pulsione di morte nella clinica e nella teoria.
A Milano, dieci anni fa, fondando la Scuola, prendevamo posizione nell’affermare che solo con la Scuola potevamo realizzare l’extraterritorialità come “enclave” e fare di essa, al contempo, non un limite, una chiusura, ma, al contrario, una condizione e una risorsa per l’apertura della psicoanalisi alla “città”. Solo con la Scuola si può vitalizzare questa dialettica in cui ritroviamo centrale una contraddizione  propulsiva. A condizione, appunto, che le due correnti, di intensione e di estensione, non viaggino su due binari separati, con propositi scollegati, con la  risultante  di avere un’intensione svuotata in una reiterazione formale di dottrina e un’estensione di franco velleitarismo ridotto a pura retorica. Rischio a cui le istituzioni psicoanalitiche post freudiane sono state tutt’altro che indenni, sacra SAMCDA!
Dalla sua fondazione la SLP ha percorso già un lungo tratto di strada, dando vita a innumerevoli iniziative, sviluppando delle politiche, interpretando la sua posizione all’interno dell’AMP. Dieci anni possono essere considerati anche un ciclo che si presta a una valutazione. Potrebbe essere il tema di una conferenza istituzionale della Scuola, perché no?

[Testo pubblicato in Appunti speciale, 8-9-10 giugno 2012]