“L’infanzia, la follia e la femminilità” secondo Miquel Bassols, “non sono soltanto i tre soggetti che hanno incarnato tradizionalmente e in società diverse le figure di maggiore debolezza e necessità di protezione. Essi sono fondamentalmente il luogo di parola rifiutata, rimossa nel senso più radicale del termine”, e divengono spazio privilegiato della violenza. Su tale sfondo di assenza di parola la particolarità de La/donna, del suo non essere del tutto definibile nella dimensione fallica, nel suo essere eccezione, favorisce l’affiorare violento di ripetuti passaggi all’atto, attraverso i quali il maschile tenta di sopprimere i resti inassimilabili ed eterogenei, non integrabili nella propria immagine narcisistica. Si deve al pensiero di Lacan, alla sua insistenza sulla dissimme-tria irriducibile tra uomo e donna, lo spostamento del discorso da una presunta mancanza del femminile a una diversa posta in gioco. Se lo scientismo e il discorso universitario, attestati sulla quantificazione numerica, trattano la follia e l’infanzia come categorie universali con protocolli preformati, la donna sembra invece cercare un dire e un agire non assoggettati a modelli. La parola dell’amore, la parola poetica, sono declinazioni del desiderio diretto a mutare la scac-chiera di una realtà impoverita di simbolico. In un periodo in cui il godimento è al comando anche il corpo del bambino è model-lato su immagine e costruzione della tecnica, mentre la psicoanalisi non si sottrae a un ascolto attento alla particolarità e singolarità della sofferenza senza ricorrere al gelido “anonimato della competenza”. Diversi saggi all’interno del volume, trascritti a partire dal Forum: Il bambino oggetto della scienza (Bologna, 2013), mettono in luce nodi complessi e problematici del rapporto tra pedagogia, psicoanalisi e scienza, nell’attuale Disagio della civiltà.