«Il dire bene e il saper leggere sono dal lato dell’analista, a suo appannaggio, ma, nel corso dell’analisi, occorre che dire bene e saper leggere si trasferiscano all’analizzante».
J.-A. Miller, Leggere un sintomo, in “Attualità Lacaniana”, n°14, p. 19.
Responsabile: Laura Storti – retelacan@gmail.com
Redazione: Eva Bocchiola, Sergio Caretto, Adele Succetti, Sebastiano Vinci, Giuliana Zani
Grafica a cura di: Matteo De Lorenzo
Per il sito: Valentina Lucia La Rosa
Sommario
Rete Lacan n°44 – 22 giugno 2022
Voci dal XIX° Convegno della SLPCf:
Interpretazioni esemplari che hanno avuto effetti
- Effetti… di lettura
Carlo De Panfilis e Antonio Di Ciaccia
con Luca Curtoni, Susana Liberatore, Viviana Monti, Marianna Matteoni - Transizioni
Adele Succetti
con Maria Siani, Chiara G. Nicastri, Riccardo Andolcetti, Aurora Mastroleo
In copertina:
Aryz, senza titolo, oil on canvas 2017
Effetti… di lettura
Presentazione
Membro SLP e AMP Bologna
—
Questa sessione ha come titolo Effetti di lettura. È l’esito e la continuazione di un lavoro di Scuola, la costruzione della bibliografia del convegno, che ha visto coinvolte tutte le segreterie di città della SLP.
Qui, presentiamo e discutiamo quattro contributi che sono il risultato di una lettura après-coup, da parte degli autori, del lavoro fatto nella costruzione della bibliografia del Convegno.
Una bibliografia è una modalità di discorso relativa a un testo, la genealogia del pensiero che vi è contenuto, il suo essere l’intersezione di altri contenuti.
La bibliografia rivela il tema come percorso all’interno di una mappa e, nel contempo, rivela la mappa sulla quale può definirsi un percorso.
È sempre in costruzione, è sempre in divenire, è effetto d’interpretazione dell’agente che lo costruisce e produce risonanze in chi la incontra, producendo a sua volta nuovi effetti interpretativi.
I testi saranno presentati in una successione che segue le scansioni del lavoro, così come emerge dagli elaborati.
Il primo contributo è di Luca Curtoni, con Freud in après-coup, nel quale l’Autore affronta i punti salienti sull’interpretazione attraverso la lettura dei testi di Freud da parte di Lacan, e con il sostegno dell’opera di Miller.
Nel secondo testo – Effetti di lettura di Susana Liberatore – l’Autrice articola la costruzione della bibliografia del convegno attraverso la creazione di una mappa, una cartografia, sull’orizzonte dato dall’interpretazione analitica attraverso una lettura di Jacques-Alain Miller.
Segue Viviana Monti, che in Effetti d’analisi, mette in tensione gli effetti di lettura e di interpretazione, in riferimento allo studio sui testi, agli echi della propria analisi e nel rapporto con la Scuola.
Infine, (Nella) bibliografia: fra suono e senso, di Marianna Matteoni, pone l’accento su come il linguaggio non sia riducibile all’informazione, ma sia risonanza, valorizzando la materia che lega suono e senso.
Freud in après-coup
Luca Curtoni
Partecipante SLP – Sondrio
—
Se vogliamo accostare il tema della interpretazione a partire dagli effetti, è condivisibile pensare che “il ritorno a Freud”, ovvero il modo in cui Lacan approccia il testo freudiano, costituisca per la nostra comunità l’interpretazione più esemplare, quella che, in après-coup, lo si può dire, ha permesso di fondare una nuova epistème all’interno dell’orizzonte psicoanalitico. Della invenzione freudiana reinterpretata da Lacan mi limito a cogliere gli elementi che mi sembrano più in sintonia con l’argomento del XIX Convegno. Il primo, direi assiomatico, è rintracciabile nella Traumdeutung, l’opera che Freud ha voluto far coincidere con il cominciamento simbolico del suo insegnamento. Il secondo va invece indagato penetrando uno dei suoi ultimi scritti, ovvero Costruzione nell’analisi, un’opera che, dice J.-A. Miller1, non si colloca più nel tempo dell’ebbrezza dell’interpretazione, ma in quello della costruzione. Ritornando al primo tempo, nelle parole di Lacan, l’opera di Freud va ripresa alla «Traumdeutung, per ricordarsi che il sogno ha la struttura di una frase, o meglio, stando alla sua lettera, di un rebus, vale a dire di una scrittura»2. Il sogno è una messa in scena le cui immagini vanno considerate per il loro valore significante concorrendo a formare in forza di meccanismi propri della lingua una scrittura cifrata, mentre l’interpretazione è parallelamente un lavoro di decifrazione di questi segni, una sorta di traduzione in linguaggio alfabetico, in una scrittura logica. Appare così chiaro fin da subito quale sia il focus di Lacan nella sua lettura operata sul testo di Freud: «c’è chi parla, ça parle: un soggetto nel soggetto»3, ma anche l’imprescindibilità di una strumentazione atta ad afferrarne la scrittura. È lungo questa strada che Lacan stabilisce una equivalenza tra la topica dell’inconscio e l’algoritmo saussuriano rivisitato al fine di esaltare la supremazia e la materialità del significante, nonché la sua dimensione di invarianza, al di là del senso, aprendo in tal modo la via alla letteralizzazione logica della psicoanalisi, che trova in Frege l’impalcatura logico-matematica più avvertita per comprendere il rapporto del soggetto con il significante. Radicale è quindi la differenza rispetto al paradigma ermeneutico della tradizione psicoanalitica che traduce il lavoro analitico in una serie (infinita) di interpretazioni centrate esclusivamente sulla comprensione del senso e quindi sulla corrispondenza tra significante e significato.
Ora, posto l’assioma, come leggere il secondo tempo dell’esperienza analitica, quello della costruzione, nel momento in cui quest’ultima, elemento fondamentale della teoria e della clinica psicoanalitica non è afferrabile come un oggetto teoretico? Leggere il significante costruzione in una relazione di omogeneità con l’interpretazione, come afferma Freud (l’interpretazione è ciò che si intraprende con un singolo elemento del materiale, mentre la costruzione è la comunicazione di un intero brano della vita del paziente), significherebbe amputare il testo freudiano della sua vitalità, che si può cogliere solo rileggendolo lacaniamente nella sua dialettica interna, secondo la logica dell’après–coup, in un periodo in cui, come dice Miller nelle sue note a margine di Costruzioni nell’analisi, «la psicoanalisi comincia ad essere modificata dalla psicoanalisi e la pratica che è stata inventata da Freud è ora lanciata nel mondo e si modifica in questo stesso lancio»4. Miller, sempre nel commento fatto in occasione del lavoro seminariale svoltosi a Milano nel 1994, mette in luce la fecondità di questo concetto, facendone una sorta di filo rosso che ci fa attraversare le profonde trasformazioni che subiscono alcuni topoi, come la presenza dell’analista, la completezza del sapere e della costruzione, ma soprattutto la sovversione del concetto di verità. L’elemento costruzione è forse più plausibile intenderlo quindi come una sorta di operatore logico che ci introduce nella relazione analitica e grazie alla sua plasticità nel subire deformazioni, flessioni e distensioni, con una funzione logica del tutto analoga a quella delle figure topologiche, ci fa cogliere la torsione che si produce nella condizione clinica. Se all’inizio, con Freud, c’è una netta divisione dei ruoli, una ripartizione basata sull’opposizione tra ricordare e costruire: l’analizzante deve ricordare (rivivendo l’esperienza), mentre l’analista deve costruire (come fa l’archeologo), alla fine del testo, per l’ultimo Freud ma soprattutto per la psicoanalisi in prospettiva (è ormai Lacan che parla), ricordare e costruire vengono a confondersi in qualche modo, poiché ogni ricordare comporta un costruire interno. Si passa così dalla costruzione freudiana intesa come la risposta dell’analista al ricordare dell’analizzante, alla costruzione posta interamente dal lato dell’analizzante. Ciò che resta proprio dell’analista è l’atto, che autorizza simbolicamente al procedere al compito analizzante, aprendo però la strada al delirio a due, alla compenetrazione tra analizzante e analista ma anche all’unificazione della clinica, poiché il principio clinico per cui in mancanza del ricordo ci si può affidare alla verità della costruzione grazie al significante offerto dall’analista (un principio clinico che Miller accosta a quello einsteiniano scrivendo E=UWK, alludendo a una possibile scrittura nel reale5), regola non solo la verità del nevrotico, ma anche i meccanismi delle allucinazioni e i deliri dello psicotico. Abbandonati i panni dell’archeologo che si affida a una metodica che sottende ancora la pretesa di raggiungere la verità esatta di ciò che ha avuto luogo, lo psicoanalista lacaniano sposta l’attenzione sul concetto di verità in movimento, che si rettifica e si modifica continuamente. La verità si dice soltanto in una svista, «con l’esca di una costruzione falsa», in un confondere una cosa con un’altra. La mancata presa è infatti la presa sulla mancanza, dietro la quale non c’è nulla. Il punto di attenzione di Lacan è quindi l’inconsistenza della verità, che può essere messa a nudo con il rigore della logica, qui in particolare con il principio logico per cui ex falso sequitur quodlibet. Dal vero segue soltanto il vero, ma dal falso possono discendere sia il vero, sia il falso. Disintegrato il concetto tradizionale di verità, fatto salvo un nucleo, che però è reperibile anche nelle allucinazioni e nei deliri dello psicotico, la prospettiva della psicoanalisi lacaniana è ormai pronta per operare una scansione interna all’epistème stabilita da Lacan attraverso la rilettura interpretativa di alcuni punti del testo freudiano. È il passaggio dalla verità al godimento, non senza la logica, che rimane uno strumento indispensabile per stringere e mostrare il reale, l’impossibile, quello che nella Traumdeutung Freud chiamava ombelico del sogno o, in Costruzioni nell’analisi, resto, qualcosa di non ricostruibile. In quest’ultima fase, i segni da decifrare non sono più messaggi rivolti all’Altro, ma nuclei di godimento che il taglio asemantico che l’analista riesce a produrre permette di staccare dalla catena significante del discorso del soggetto. Nel tendere, portandolo fino alle sue colonne d’ercole, il significante nel suo aspetto materiale e autonomo, la «disciplina del significante» citata da Lacan nella Direzione della cura6, si deve fare più dura lasciando spazio al silenzio. La logica è costretta a cambiare statuto ma, seppur depotenziata, rimane uno strumento insostituibile per individuare il punto di impossibilità e dare accesso al reale del soggetto.
—
[1] J.-A. Miller, Costruzioni nell’analisi. Note a margine, in Quaderni milanesi di Psicoanalisi, n.4-5, Milano, 1994, p.139.
[2] J. Lacan, La direzione della cura e i principi del suo potere, in Scritti, Torino, Einaudi, 2002, vol.II, p.260.
[3] J. Lacan, La psicoanalisi e il suo insegnamento, in Scritti, cit., vol.I, p.429.
[4] J.-A. Miller, Costruzioni nell’analisi. Note a margine, cit., p.138.
[5] Ivi, p.145.
[6] J. Lacan, La direzione della cura, cit., p.589.
Una mappa nel labirinto: Dal monologo de l‘apparola a Pierre Menard. Per una lettura di J.-A. Miller sull’interpretazione analitica
Susana Liberatore
Partecipante SLP – Bologna
—
All’inizio del testo Il monologo de l’apparola1 di Jacques-Alain Miller troviamo una specie di «cartografia concettuale» composta di due colonne confrontate di tre termini ciascuna e uno in alto sovrapposto con un segno interrogativo. Il testo analizza e paragona la prima colonna («la parola, il linguaggio e la lettera»), riferimenti basilari alla base dell’insegnamento del primo Lacan, con la seconda colonna, composta da: «l’apparola, lalingua, lituraterra», che sono una «specie di neologismi che rimaneggiano le parole del vocabolario»2 e che invece appartengono ad una fase successiva e al suo ultimo insegnamento. «L’interpretazione?» è il termine/domanda che appare in alto. Con quest’operazione, che va dalla parola al l’apparola, dal linguaggio a lalingua, e dalla lettera alla lituraterra, Miller sottolinea che si tratta d’una svolta che tocca le coordinate fondamentali della teoria e dell’insegnamento di Lacan per «determinare il nuovo modo dell’interpretazione analitica che essa condiziona»3 Infatti, nel testo Miller si chiede: «Cosa diventa l’interpretazione quando tocchiamo le coordinate fondamentali di partenza?»4. Quest’opera, possiamo dire, è un invito a seguire il percorso di Lacan per rispondere a questa domanda, per cogliere qualcosa del suo orientamento, per avere «una mappa del labirinto»5.
Un testo, un contesto, un autore
Ne Il monologo de l’apparola Miller si chiede: «se non c’è posto né per il dialogo né per la comunicazione intersoggettiva, come è possibile interpretare?» Così si risponde: «il non c’è dialogo ha il suo limite nell’interpretazione attraverso cui si assicura il reale»6. Vuol dire che l’interpretazione analitica fa limite e si pone piuttosto come arresto che come rilancio del senso. Per questo motivo, secondo Miller «bisognerebbe avanzare la formula che l’interpretazione analitica introduce l’impossibile»7. Questo implica che essa si svolga al contrario del senso, per Lacan persino in controsenso, attraverso l’equivoco, per esempio. Si tratta, aggiunge Miller verso la fine del testo, di un modo speciale d’interpretare, che mette all’orizzonte la riduzione al «non vuole dire niente». Implica, riprendendo la domanda di Miller riguardo all’interpretazione e al passaggio dal primo al secondo ternario, che l’interpretazione è dal lato dello scritto e non più dal lato della parola.
Ricordiamo che Il monologo de l’apparola è una lezione del Corso di Miller al Dipartimento di Psicoanalisi dell’Università di Parigi VIII: La fuga del senso 1995-19968. Durante la presentazione del libro a Buenos Aires nel 2013 all’EOL, a proposito degli effetti che il corso ha avuto nella pratica analitica, così come sull’insegnamento da esso estratto, la traduttrice, Silvia Baudini9, dice che Miller in questo corso sviluppa, con un lavoro in filigrana che apre all’ultimo insegnamento di Lacan, una metapsicologia dell’interpretazione, che va dalla fuga del senso all’inesistenza dell’Altro. Ricordiamo che quest’ultimo sarà l’argomento del suo corso successivo10. Invece Silvia Tendlarz, che ha stabilito il testo del corso, segnala che quest’opera implica una svolta fondamentale sia nella serie dei corsi sia nell’insegnamento di Miller, giacché esso è un punto di partenza nella rotta verso l’ultimo insegnamento di Lacan. In consonanza con le Giornata della Scuola della Causa Freudiana sull’interpretazione analitica, Miller, in questo corso, evidenzia il paradosso tra un inconscio che interpreta e vuole, a sua volta, essere interpretato, segnalando l’interpretazione come limite che dovrebbe puntare verso il reale. Questione che metterà a fuoco 13 anni dopo in Cose difinezza in psicoanalisi11 con la distinzione tra inconscio transferale e reale.
Miller, Lacan, Borges e Pierre Menard
L’undici novembre 1999 viene pubblicata in Pagina 12 un’intervista di María Esther Gilio a Jacques-Alain Miller intitolata Yo soy el periodista de Lacan12. La giornalista, in occasione della visita dello psicoanalista francese in Argentina, gli rivolge variegate domande che vanno dalla politica alle diverse terapie, alla sua vita personale e professionale, ecc. Miller – a proposito dell’incidenza della psicoanalisi sulla cultura- dice che Lacan considerava lo scrittore argentino Jorge Luis Borges in stretta risonanza con ciò che egli stesso sosteneva. In primis, perché lo scrittore considerava la psicoanalisi come una sorta di scienza-finzione, e, secondo Miller, lo stesso si potrebbe dire della sua letteratura. Davanti allo stupore della giornalista, e per sostenere la sua affermazione, Miller riprende l’idea di Borges di Pierre Menard, nel tentativo impossibile di riscrivere «El Quijote de Miguel de Cervantes». Ricordiamo che Pierre Menard (autore del Chisciotte)13 è un racconto scritto da Borges nel 1939 che apparve per la prima volta nella Rivista Sur n.56 ed è inserito nella raccolta Il Giardino dei sentieri che si biforcano del 1941, poi confluita nella raccolta Finzioni (1944). Lo scrittore argentino immaginò, in rispondenza alla sua singolare idea di prolificazione del possibile e dell’impossibile, un fantomatico scrittore francese (chiamato appunto Pierre Menard) che, a un certo punto, iniziò a riscrivere parte del Don Chisciotte. Borges si premurò di precisare che Menard non voleva copiare l’opera di Cervantes, ovvero trascriverla in modo meccanico, ma produrre, per mirabile ambizione, «delle pagine che coincidessero, parola per parola e linea per linea» con l’opera originale. Assolutamente non un altro Chisciotte; come spiegò Borges, Menard volle comporre il Chisciotte, essendo Pierre Menard, cioè un francese nel secolo XX.
Tornando all’intervista di Pagina 12, la giornalista, certamente interessata alla questione, gli chiede se possiamo dire che lo stesso testo di Menard cambia quando cambia il contesto, diventando un altro. Miller a questo punto dice che questa potrebbe essere l’essenza stessa dell’interpretazione analitica.
Per concludere e a proposito della costruzione della bibliografia14 per il nostro XIX Convegno, il racconto di Borges presenta un mondo narrativo possibile in cui si coglie l’ambiguità del significato dell’autore, del lettore, della realtà e della finzione, dell’originale e della copia, della produzione e della recezione d’un testo, ecc. Chiuderei quindi con una parte dell’ultima frase del testo di Borges, per tornare a farlo ancora risuonare con l’indicazione di Miller sull’interpretazione analitica: «Menard (forse senza volerlo) ha arricchito mediante una tecnica nuova l’arte incerta e rudimentale della lettura: la tecnica dell’anacronismo deliberato e delle attribuzioni erronee».
—
[1] J.-A. Miller, Il monologo de l’apparola in La Psicoanalisi, n. 20, Astrolabio, Roma 1996.
[2] Ivi, p. 21.
[3] Ibidem.
[4] Ibid.
[5] Ibid.
[6] Ivi, p.36
[7] Ivi, p.38
[8] J.-A Miller, La fuga del sentido. Ed. Paidós, Buenos Aires, 2012.
[9] Presentazione del corso psicoanalitico di Miller: “La fuga del senso”. Buenos Aires, 24 aprile 2013. https://radiolacan.com/it/podcast/presentazione-del-corso-psicoanalitico-di-jacques-alain-miller-la-fuga-del-senso/3
[10] J.-A Miller, El Otro que no existe y sus comités de ética. Ed. Paidós, Buenos Aires, 2005.
[11] J.-A Miller, Sutilezas analíticas. Ed. Paidós, Buenos Aires, 2011.
[12] Io sono il giornalista di Lacan (Traduzione dell’autore)
[13] J.L. Borges, Pierre Menard, autore del Chisciotte in Finzioni. Einaudi, 2014.
[14] Il termine indica l’elenco dei testi scritti intorno a un determinato argomento, in cui l’autore di un lavoro saggistico cita le fonti e gli studi da lui utilizzati o segnala al lettore opere utili per l’ampliamento della discussione. Enciclopedia Treccani: https://www.treccani.it/enciclopedia/bibliografia/. Voce: “Bibliografia”
Effetti d’analisi
Viviana Monti
Membro SLP – Torino
—
Effetti di… lettura
È per effetto di qualche interpretazione ch’io mi trovo qui adesso. Ed è anche effetto di qualche lettura, avendo coordinato un piccolo gruppo di partecipanti alle attività della SLP e amici della psicoanalisi, volto alla ricerca di citazioni per la costruzione della Bibliografia per questo XIX Convegno dal titolo assai ambizioso. Titolo non tanto lontano da quello di questa sessione, sia per l’accento sugli effetti, sia per la prossimità che in psicoanalisi c’è tra interpretazione e lettura: direi l’una non senza l’altra.
A tal proposito Lacan nel Seminario XX afferma che «Ciò di cui si tratta nel discorso analitico è sempre questo: di quel che si enuncia di significante voi date una lettura diversa da quel che significa»1.
Imparare a leggere
Sempre nel Seminario Ancora Lacan sostiene che nel discorso analitico si suppone che «il soggetto dell’inconscio sappia leggere. […] Non soltanto supponete che sappia leggere, ma supponete che possa imparare a leggere»2: a chi si riferisce qui Lacan se non all’analizzante? J.-A. Miller lo dice così: «Occorre che dire bene e saper leggere si trasferiscano all’analizzante. Che egli […] impari a dire bene e anche a saper leggere»3. Lacan precisa anche che però «quel che gli insegnate a leggere non ha […] assolutamente niente a che fare […] con quel che potete scriverne»4. L’analista, con la sua presenza, fa degli interventi – che solo a posteriori potranno essere considerati delle interpretazioni dall’analizzante – senza sapere che cosa di essi, in essi, avrà avuto effetti.
Suoni, rumori, gesti, significanti… tra citazione e interpunzione, tra enigma e allusione, equivoco e constatazione o taglio…: interventi diversi – in differenti tempi dell’analisi e del soggetto – i cui «[…] effetti sono incalcolabili […]. Non è lì che risiede il nostro sapere, […] se sapere, come si dice, è prevedere. La cosa che ha da sapere l’analista è che c’è uno che non calcola, né pensa, né giudica, ma che cifra. E questo è l’inconscio»5. Con le parole di J.-A. Miller: semplicemente «[…] l’interpretazione non è altro che l’inconscio […] L’interpretazione è innanzitutto quella dell’inconscio nel senso genitivo soggettivo: è l’inconscio che interpreta»6. È a partire da una cifratura che qualcosa si offre ad una decifrazione, così come solo a partire da una scrittura qualcosa si potrà leggere: come?
Saper leggere
Lacan stesso, che ha assegnato a JAM un saper leggerlo, avvia il suo insegnamento assumendosi un saper leggere Freud, offrendo a sua volta degli scritti dal «titolo più ironico di quanto non si creda»7. Ne Il mio insegnamento, la sua natura e i suoi fini, constata che leggere quello che ha scritto, anche se non lo si capisce benissimo, «fa un certo effetto, cattura, interessa»8. Anzi, di più: nel Seminario XVIII, sempre a proposito dell’illeggibilità dei suoi Scritti, dice che «Qualcosa di cui non si capisce niente è una vera speranza, è il segno che ne siamo stati colpiti. È una fortuna che non abbiano capito nulla, poiché non si può capire nient’altro se non quello che si ha già nella testa»9: formidabile! Sostare nel non capire, lasciarsi sorprendere, non cessare di interrogarsi su cosa stia dicendo un soggetto, dicendo ciò che dice – o meglio – in ciò che dice: «Cosa, nel dire, vuole?»,10 è un’indicazione clinica fondamentale. Già nella Proposta del 9 ottobre 1967 sullo psicoanalista della Scuola, Lacan afferma che lo psicoanalista non è autorizzato ad «accontentarsi di sapere che non sa nulla, perché quello che importa è ciò che egli è tenuto a sapere»11, ossia che il non-saputo risponde a una logica reperibile grazie ad una lettura che de-cifri ciò che è articolato come sapere altro, strutturato come un linguaggio. Quattro anni dopo, in Io parlo ai muri, dirà che «La questione del sapere dello psicoanalista non consiste assolutamente nel sapere se esso si articoli oppure no, ma nel sapere in quale posto occorre essere per sostenerlo»12. Per intervenire da quella x che consente di rendere operativo un desiderio che non domanda, causato da un vuoto, occorre considerare che il dire non coincide con il detto: «Che si dica resta dimenticato dietro ciò che si dice in ciò che si intende»13. Il dire resta al di là dei detti, nei significanti.
L’illeggibile
Nemmeno l’interpretazione è «fatta per essere compresa, [essendo piuttosto] fatta per produrre delle onde»14: onde che hanno effetti di corpo, nel corpo. Secondo Lacan «Non c’è un’interpretazione che non riguardi il legame tra ciò che […] si manifesta come parola e il godimento. Non è escluso che l’abbiate fatto in modo innocente […], ma un’interpretazione analitica è comunque sempre questo»:15 non ce n’è una «che non sia fatta per dare a una qualche proposizione che si incontra la sua relazione con un godimento»16. Tre anni dopo si esprime così: «Bisogna che ci sia qualcosa che risuoni nel significante. [E siccome] Le pulsioni sono l’eco nel corpo del fatto che ci sia un dire […] perché risuoni […] bisogna che il corpo sia sensibile. Che lo sia è un dato di fatto. Proprio perché il corpo ha alcuni orifizi»17. Non è forse a causa dei buchi nel corpo, dell’incontro troumatico con la lalingua, del non rapporto che non cessa di non scriversi, che l’inconscio cifra e parla e che il parlessereelucubra e delira? E un’interpretazione analitica non opera al rovescio, attraverso un’altra lettura per puntare là dove la parola manca, fino a cingere quel reale indicibile della scrittura scavata dal significante, l’illeggibile della lettera?
Desiderio di lettura
Capita di dimenticare dove abbia letto qualcosa, così come capita di dimenticare il contenuto di interpretazioni seppur abbiano avuto l’effetto di colpire, sorprendere, mordere, risvegliare… Effetti che cambiano il soggetto, il suo modo di leggere e il suo rapporto alla lettura: mossa dalla fame di sapere e di senso, da divoratrice insaziabile di libri scritti dai supposti detentori del sapere, grazie all’incontro con la psicoanalisi è passata attraverso l’amore per un altro sapere e la ricerca di un altro senso, situato altrove, per giungere ad un nuovo gusto per ciò che, senza senso, buca il sapere, lo limita e nondimeno lo causa. Ciò non è senza effetti sul transfert, sul desiderio di Scuola – quale luogo in cui mantenere vivo e al lavoro il non sapere cosa sia un analista e il suo atto – e sul desiderio di analisi, di controllo e di cartello – quali dispositivi irrinunciabili per mettere al lavoro il proprio non saper leggere.
—
[1] J. Lacan, Il Seminario. Libro XX. Ancora [1972-1973], Einaudi, Torino 2011, p. 35.
[2] Ivi, pp. 35-36.
[3] J.-A. Miller, Leggere un sintomo [2011], in Attualità lacaniana, n. 14, Alpes, Milano 2012, p. 19
[4] J. Lacan, Il Seminario. Libro XX. Ancora, cit., p. 37.
[5] J. Lacan, Intervento [1973], in La Psicoanalisi, n. 3, Astrolabio, Roma 1988, p. 28.
[6] J.-A. Miller, Il rovescio dell’interpretazione [1995], in La Psicoanalisi, n. 19, Astrolabio, Roma 1996, p. 122.
[7] J. Lacan, Il Seminario. Libro XVIII. Di un discorso che non sarebbe del sembiante [1971], Einaudi, Torino 2010, p. 105.
[8] J. Lacan, Il mio insegnamento, la sua natura e i suoi fini [1971], in Il mio insegnamento e Io parlo ai muri, Astrolabio, Roma 2014, p. 55.
[9] J. Lacan, Il Seminario. Libro XVIII. Di un discorso che non sarebbe del sembiante, cit., pp. 96-97.
[10] J. Lacan, Il Seminario, Libro XVI, Da un Altro all’altro [1968-1969], Einaudi, Torino 2019, p. 194.
[11] J. Lacan, Proposta del 9 ottobre 1967 sullo psicoanalista della Scuola [1967], in Altri scritti, Einaudi, Torino 2013, p. 247.
[12] J. Lacan, Io parlo ai muri, cit., p. 116.
[13] J. Lacan, Lo stordito [1972], in Altri Scritti, Einaudi, Torino 2013, p. 445.
[14] J. Lacan, Conférences et entretiens dans des universités nord-américaines [1975], in AA.VV., Scilicet, n. 6/7, Seuil, Paris 1976, p. 35 [trad. nostra].
[15] J. Lacan, Io parlo ai muri, cit., p. 108.
[16] Ivi, p. 132.
[17] J. Lacan, Il Seminario. Libro XXIII. Il sinthomo [1975-1976], Astrolabio, Roma, 2006, p. 16.
Nella bibliografia: fra suono e senso
Marianna Matteoni
Partecipante SLP – Rimini
—
Una frase di Éric Laurent è stata l’occasione per ripensare il mio contributo al lavoro bibliografico e annodarlo al tema del XIX Convegno: «La funzione poetica rivela che il linguaggio non è informazione, ma risonanza, e mette in valore la materia che lega suono e senso. Rivela quello che Lacan chiamava moterialismo, che al suo centro racchiude un vuoto»1.
Per cominciare, un ricordo.
Durante la stesura della mia tesi di laurea in psicologia, ormai nel secolo scorso, la parte dedicata alla bibliografia si rivelò fin da subito un problema. Come orientarsi? Quale metodo seguire?
Mi venne in soccorso Umberto Eco con il suo celebre libro Come si fa una tesi di laurea.
Scrive Umberto Eco: «Farsi una bibliografia significa cercare quello di cui non si conosce ancora l’esistenza. Il buon ricercatore è colui che è capace di entrare in una biblioteca senza avere la minima idea su di un argomento e uscirne sapendone un po’ di più»2.
Cominciai a portare con me un piccolo schedario portatile, che si andò riempiendo di schede in cui ognuna corrispondeva a un libro letto o da leggere.
A gennaio ho accettato con gioia di partecipare alla costruzione della bibliografia per il Convegno. Il mio compito consisteva nel collocare le citazioni arrivate dalle Segreterie di Città nelle diverse sezioni della bibliografia, dividerle per autore, in ordine alfabetico e cronologico. Inoltre, come partecipante a una Segreteria, anche io contribuivo alla lettura dei testi.
Come il ricercatore neofita di Umberto Eco, non avevo ben chiaro cosa stessi cercando, e così mi tuffavo in varie letture, un po’ disordinate, almeno in principio. Una ricerca, in verità, animata da un equivoco: ero focalizzata su “interpretazioni” piuttosto che su “effetti”. Una volta chiarito il punto di arrivo, mi sono diretta verso gli scritti di passe, laddove l’AE può testimoniare degli effetti con la sua viva voce.
Alla fine, la bibliografia è il prodotto di un lavoro, un elenco di «pezzi staccati»3.
Non solo: pezzi staccati individuati e raccolti da degli «sparsi scompagnati»4, ognuno con un rapporto singolare con la causa analitica.
Una volta messi in fila questi elementi, i pezzi staccati e gli sparsi scompagnati mi sono sembrati un buon viatico verso il non-tutto.
In effetti una bibliografia, per quanto ampia e documentata, non giunge mai a essere esaustiva.
Anche la biblioteca di Babele descritta da Borges, totale e infinita, si rivela un incubo dove regna il caos e gli uomini impazziscono5.
Ritorno al titolo del mio intervento. Nella bibliografia: fra suono e senso.
Isolo la preposizione articolata, Nella, che suggerisce un luogo.
Se lo schedario che mi ha aiutato per la tesi di laurea era scritto rigorosamente a penna su fogli di carta, il digitale ha dischiuso la possibilità e la necessità di altri supporti. Il file su cui avviene la compilazione è un foglio virtuale, potenzialmente infinito, costituito da una pagina sola come da cento. Ciò che conta è che il foglio è uno spazio da organizzare: si sceglie il carattere (font), il numero del carattere, la spaziatura fra le righe, il colore dello sfondo…
Un luogo solo apparentemente statico. In realtà, cambia in continuazione: è uno spazio vivace in cui avvengono cancellature, spostamenti, lapsus di scrittura, e “conversioni” perché a un certo punto il file viene convertito in un formato non modificabile e poi diffuso. Ma anche in questo caso si tratta di un file temporaneo, che sarà sostituito da ulteriori aggiornamenti all’interno di una bibliografia che resta sempre “in costruzione”.
E questo mi riporta al tema del Convegno.
È stata redatta una bibliografia, non perché fosse completa, ma affinché circolasse e avesse degli effetti.
Grazie al rovesciamento realizzato da Jacques Lacan, sono gli scripta che volant, sono gli scritti a volare. La citazione, questo «semi-dire»6, parole scritte, ritagliate dal testo in cui sono collocate abitualmente, e poste in evidenza, come in esergo, possono sorprendere e agire come un’illuminazione fino a quel momento non avvenuta. Oppure possono aprire una fessura e mettere in discussione ciò che prima era stato inteso e dato come certo.
Brevi scritti che volano, dunque, intorno al senso.
Ma non soltanto.
In psicoanalisi l’interpretazione ha attraversato molteplici vicissitudini. In Freud si passa dal «dialogo»7 alla costruzione, per «costruire il materiale dimenticato a partire dalle tracce che di esso sono rimaste»8. Nell’insegnamento di Lacan, se in un primo tempo l’interpretazione permette l’accesso al capitolo cancellato nella storia dell’analizzante, sul finire si profila l’invito che produca qualcosa di altra natura.
Infatti, nel 1975 Lacan dice chiaramente che l’interpretazione «è fatta per produrre delle onde»9.
Secondo la definizione della fisica, l’onda «è una perturbazione che nasce da una sorgente e si propaga nel tempo e nello spazio trasportando energia o quantità di moto»10.
La prima cosa che mi viene in mente quando penso all’onda è l’onda del mare: avanza sull’arenile e si ritira nella risacca. In questo movimento continuo produce un suono, più o meno intenso, più o meno udibile.
Quindi metto in fila altri elementi: interpretazione, effetti, onda marina, acustica… risonanza.
Questi frammenti, questi pezzi staccati che compongono la bibliografia, possono superare il senso veicolato dai significanti?
È lo spirito, la scommessa, forse, con cui ho partecipato al lavoro bibliografico: che potesse produrre un effetto di onda. L’onda è movimento e perturbazione. Può generare risonanze che inviano verso altri testi o risonanze più intime, soggettive, che sorprendono; avere effetti non di stagnazione ma di apertura, per “sapere un po’ di più”, come scriveva Umberto Eco all’inizio.
Un po’ di più.
Aggiungo io: non-tutto.
—
[1] É. Laurent, L’interpretazione: dalla verità all’evento, in Rete Lacan, n.40, https://www.slp-cf.it/rete-lacan40-10-febbraio-2022/#art1
[2] U. Eco, Come si fa una tesi di laurea [1980], Bompiani, Milano 1996, p.66-67.
[3] J.-A. Miller, Pezzi staccati, Astrolabio, Roma 2006, p. 8. «Il mio inizio è il mio titolo: Pezzi staccati. Ciò apre, lascia aperto quel che potrà arrivare e che arriverà. Confido molto in voi».
[4] J. Lacan, Prefazione all’edizione inglese del Seminario XI [1976], in Altri scritti, Einaudi, Torino 2013, p.565.
[5] J.L. Borges, La biblioteca di Babele [1941], in Finzioni, Einaudi, Torino 1995, pp.69-78.
[6] J. Lacan, Il Seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi [1969-1970], Einaudi, Torino 2001, p. 37.
[7] J.-A. Miller, Commento al caso clinico di Dora, in “Quaderni milanesi di psicoanalisi”, 4/5, 1994, p. 181.
[8] S. Freud, Costruzioni nell’analisi [1937], in Opere, vol. 11, Boringhieri, Torino 1979, p. 543.
[9] Cfr. J. Lacan (1975), Conferénces et entretiens dans des universités nord-américaines, in AA.VV, Scilicet 6/7, Seuil, Paris 1976. “L’interprétation analytique n’est pas faite pour être comprise; elle est faite pour produire des vagues.” p.35.
Commento ai testi
Carlo De Panfilis
Membro SLP e AMP – Bologna
—
L’interpretazione più esemplare
Nella successione dei quattro testi è tracciato in modo ben articolato, partendo da Freud, il percorso dalla teoria dell’interpretazione in Lacan. Riprendo la formula molto efficace di Luca Curtoni: «l’interpretazione più esemplare è stata quella di Lacan nel suo ritorno a Freud, essa ha permesso di fondare una nuova epistème all’interno dell’orizzonte psicoanalitico». Fondazione della quale, nei testi presentati nel loro insieme, si coglie la complessità e l’attualità nella clinica e nella pratica psicoanalitica. Ne traccio ai fini della discussione alcuni elementi che mi appaiono fondamentali:
L’evoluzione di un concetto
In Lacan l’interpretazione evolve da un primo momento, nel quale è interpretazione del rapporto del soggetto con l’Altro: deve puntare a estrarre la parola vera, che unisce il soggetto all’Altro, al quale il messaggio inconscio è indirizzato. La significazione è in primo piano.
Segue un secondo momento, nel quale l’interpretazione è interpretazione del desiderio come rapporto del soggetto con l’oggetto, privato e separato dal rapporto con l’Altro.
Dopo il 1958, Lacan fa assumere all’interpretazione una portata più allusiva che enunciativa. L’interpretazione evoca, si avvicina a nominare, ma la sua significazione non riduce tutto al senso.
Il suo senso diverge dalla sua significazione. Soggetto e oggetto arrivano a coincidere. L’oggetto diventa un pezzo del soggetto stesso, detrito del rapporto con l’altro.
In questa terza fase si allarga ulteriormente il divario tra significazione e senso. Un senso che si libera nell’interpretazione, un senso che non si avvale della giunzione tra un significante e un altro significante ma che si concentra nell’isolamento di un significante per se solo. Detrito asemantico di tutte le significazioni.
Cartografia concettuale
Susana Liberatore – avendo come riferimento Il monologo de l‘apparola di Jacques-Alain Miller – in sintonia con la logica della costruzione di una bibliografia, tratteggia le coordinate di una cartografia concettuale – operazione, che va dalla parola a l’apparola – dal linguaggio a lalingua – e dalla lettera alla lituraterra. Cartografia di teoria e di una pratica.
La pratica dell’interpretazione
Se mettiamo insieme in un’unica frase le scansioni dei paragrafi che Viviana Monti ha sviluppato – imparare a leggere, saper leggere, l’illeggibile, desiderio di lettura – emergono gli scenari di una pratica dell’interpretazione che concerne la posizione dell’analizzante: si è sempre analizzanti di fronte all’inconscio e alla Scuola. Questo rinvia alla messa in tensione dell’attualità della clinica con la nostra pratica dell’interpretazione.
Attualità della clinica e della interpretazione nel tempo della depatologizzazione generalizzata
Christiane Alberti, nel suo intervento di ieri, precisava che l’interpretazione tocca il mondo e concerne il discorso analitico nella civiltà. Civiltà in cui la funzione della parola è scotomizzata, il detto è detto, la dimensione dell’inconscio è eliminata. Abbiamo avuto testimonianza di questa clinica dai casi portati e discussi nelle nostre due giornate di lavoro. Che posto ha l’interpretazione in soggetti che si lamentano di ciò che li disturba ma vogliono essere ascoltati senza che emerga altro dal loro dire? Vogliono delle risposte in nome del diritto. La creazione, da parte del DSM, delle entità patologiche, la loro modalità diagnostica e i protocolli di cura stabiliti secondo le norme della evidence based medicine, hanno prodotto un regime di rivendicazione clinica e identificazione patologica1. Le norme appaiono essere il correlato delle cifre. La cifra calcola la normalità, la norma si occupa di mantenerla. Al contrario delle norme, il linguaggio opera una divisione: la funzione della parola opera una divisione che consiste nel non sapere quello che si dice. È da questo altro sapere, dall’inconscio, che il soggetto contemporaneo non vuole essere disturbato. Queste negazioni contemporanee dell’inconscio ci rimandano al tema delle prossime giornate dell’ECF: “Je suis ce que je dis”. “Io sono ciò che dico” non è altro che una sfida al linguaggio, al suo valore interpretativo e ai suoi effetti. Il rifiuto del potere della parola, il non voler sapere quello che si dice, come è mostrato precisamente nella discussione dei casi clinici presentati in queste due giornate di lavoro, ci dice che una nuova pratica dell’interpretazione è già in essere. Possiamo pensare che nell’attualità della clinica le interpretazioni esemplari sono quelle che producono come effetto una apertura a un desiderio di sapere nei soggetti, nel tempo del rifiuto della divisione soggettiva.
L’Interpretazione che risuona ma non s’impone
Ne “L’interpretazione dalla verità all’evento”2, Éric Laurent afferma che lo psicoanalista deve mirare all’etica, cioè al godimento, come nel motto di spirito, che consiste del servirsi di una parola per un altro uso rispetto a quello abituale e canonico. È di un’altra risonanza che si tratta, da fondare sul motto di spirito. Éric Laurent si domanda: «perché non dovremmo inventare un significante nuovo?». L’interpretazione come risonanza e i suoi effetti è quanto è stato espresso anche nel testo di Marianna Matteoni. Possiamo pensare alla costruzione di un significante nuovo “su misura”, per soggetti che non credono all’inconscio, ma ai quali l’inconscio, di cui non vogliono sentire parlare, si fa sempre presente. Un significante nuovo che è una risonanza, un echeggiare senza rimandare ad altro, una constatazione legata alla ripetizione.
Per concludere
La testimonianza degli AE sugli effetti che possono scaturire dall’interpretazione analitica quando colpisce nel segno, e quindi diventa esemplare, sono insegnanti.
Prendo il contributo di Jorge Assef. «De la verdad a la risa» Dalla verità al riso. Nel suo contributo si vede chiaro come l’analisi vada controcorrente rispetto alla verità come destino, per far risuonare il contingente attraverso l’equivoco, l’ironia o il witz. Prendere sul serio l'”ordine comico” implica andare oltre le causalità che stabiliscono una verità come destino nel corso di una storia.
Mi fermo qui. La costruzione di una bibliografia sempre in costruzione continua a risuonare.
—
[1] É. Laurent, La translation diagnostique et le sujet, in “La Cause du Desir”, 2019/2 n°102.
[2] É. Laurent, L’interpretazione: dalla verità all’evento, in “Rete Lacan”, n°40,
Antonio Di Ciaccia
Membro AME SLP e AMP – Roma
—
Ho letto i testi più volte. È chiaro che si tratta di un lavoro sulla bibliografia fatto molto bene, quindi brave e bravo. È interessante che ognuno di voi l’abbia preso da ciò che lo interessava di più, dal suo punto di vista. Devo dire, ai nostri ascoltatori, che bisognerebbe che ognuno ce l’abbia davanti agli occhi, perché effettivamente sono testi che insegnano e se ne vedono i passaggi. Allora, mi son detto: che faccio? Poi ne ho parlato con Carlo De Panfilis, e se lui vuole intervenire, io ne sono felice. Infine, mi sono detto: sottolineo una cosa, un punto per ogni intervento.
Luca
Luca praticamente legge Freud con Lacan e in realtà lo legge anche con Miller. Del resto, è proprio leggendolo che ho notato che nella bibliografia è sfuggito qualcosa, cioè due interventi, se non tre, pubblicati su “La Psicoanalisi” n°23, interventi fatti a Barcellona dove Miller utilizza Lacan per leggere Freud e addirittura arriva a cambiare il titolo di uno dei testi di Freud. Questo è in linea con tutto quello che lei, Luca, dice, poiché lei fa riferimento proprio a Frege. Un po’ di storia. Nel 1965, cioè nell’anno seguente del famoso Seminario XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, nel Seminario Problemi cruciali per la psicoanalisi Lacan aveva invitato delle persone a intervenire nel corso del suo Seminario. Il Seminario era composto da riunioni aperte a tutti e da riunioni aperte a pochi. Dunque, c’era un seminario aperto e un seminario chiuso. Il seminario aperto è forse meno interessante di quello chiuso. In quello chiuso intervenne Miller, esattamente con Frege alla mano, per presentare gli elementi di logica del significante. Quindi non è vero, come dice una certa “storica” della psicoanalisi, che Miller avesse spinto Lacan su quel versante della logica, poiché in realtà era stato Lacan a passare a Miller quel riferimento. E da lì si può notare il cambiamento radicale che avvenne nel corso del seminario di Lacan. Nel seminario fatto a Barcellona, Miller riprende la lettura di due lezioni dell’ Introduzione alla psicoanalisi di Freud(Opere, vol. 8). Una lezione, la diciassettesima, Freud la intitola Der Sinn der Symptome, “Il senso del sintomo”, e l’altra, la ventitreesima, Die Wege der Symptombildung, “Le vie per la formazione dei sintomi”. Miller dice: cambiamo il titolo a quest’ultima, e le dà come titolo : Die Bedeutung der Symptome. In altri termini Miller pone l’accento sulla differenza che c’è in Frege tra Sinn e Bedeutung. Miller ricorda tuttavia che nelle lingue latine, e io dico soprattutto in italiano, non si sa come tradurre Bedeutung. Lacan qui ha giocato di furbizia, perché mentre il Sinn va sul senso, l’altro termine, che in francese è signification, punta a quella cosa che è causale del senso ma che non si scioglie nel senso. Per Freud si tratta della cosa sessuale, quindi Freud ci va giù di brutto. Vedete esattamente la differenza che poi Lacan farà sul versante della linguistica e sul versante del godimento per quanto riguarda il termine signification. C’è un però, per noi italiani. Lacan giocava con il doppio senso di signification: signification sul versante saussuriano e signification sul versante fregiano. Noi italiani non abbiamo questa possibilità e dobbiamo tradurlo differentemente. In primo luogo, non si può tradurre in italiano signification con significazione. Ho avuto le rimostranze di Tullio De Mauro a riguardo. Nell’uso corrente della lingua significazione è in italiano un termine non comune, se non, nel nostro contesto, addirittura un neologismo. Infatti sebbene il termine significazione sia usato da Dante e da Manzoni, signification in italiano si dice significato. Per esempio in francese diciamo, la signification de la vie, ma non diciamo la significazione della vita, diciamo il significato della vita. Dunque c’è nel corso dei tempi una variazione nella lingua italiana che è da tener presente. In Lacan c’è un passaggio del Seminario XIX dove dice che quando si parla del fallo la signification “è neutra” (Einaudi, p. 50). Vale a dire per la significazione del fallo non vale la differenza tra il genitivo oggettivo e quello soggettivo. Tuttavia, dice, “la significazione del fallo ha questo di astuto, che ciò che il fallo denota è il potere di significazione”. Ecco dunque che quella signification, valida per i sessi, acquista anche per Lacan il valore di denotazione, come in italiano, che permette poi di contraddistinguere “la significazione di uomo o di donna”.
Susana
Susana ci ha mandato in giuggiole con l’Argentina, grazie. Faccio tuttavia notare la frase : il Don Chisciotte di Cervantes è il Don Chisciotte di Pierre Menard, ma non è il Don Chisciotte di Cervantes. Quindi mettiamola in logica aristotelica:
A è uguale ad A
A non è uguale ad A
La logica di Aristotele… bene… Ma Aristotele cala le brache, non vi pare?
Lacan allora si rivolge a un’altra logica. Questa logica si chiama intuizionista e l’ha inventata Brouwer. Lacan ne parla, per esempio, a pagina 97 del Seminario XX anche se la tiene presente fin dai seminari precedenti. È la logica a cui ricorre per il pas-tout. Quando si parla di pas-tout non vuol dire che manca qualcosa, ma, al contrario, vuol dire che ci sono sia che A è uguale ad A, sia che A non è uguale ad A. Questo è importante, e alla fine del Seminario XIX ho scritto a questo riguardo una nota, aggiunta per gli italiani. Non si può tradurre il πας e il οủ πας greco di Aristotele come fanno i francesi: tutto e non tutto. Ma anche lì Lacan ha giocato di astuzia, perché il pas-tout di οủ πας sono due e non uno: uno è quello di Aristotele e l’altro è quello di Brouwer, ossia, per riprendere la problematica a livello del godimento femminile, per chi si pone da quella parte, si è completamente nella funzione fallica e, contemporaneamente, si è completamente “non tutta” nella funzione fallica. Quindi mentre il pas-tout secondo la logica di Aristotele si traduce con “non ogni”, secondo la logica intuizionista si traduce con “non tutta” “non tutto”. In questa logica non si iscrivono, direi di diritto, le donne, ma si iscrivono anche gli analisti, come ricorda Lacan nella Nota italiana(Altri scritti).
Viviana
Mi è piaciuto il Suo testo. Mi permetto di puntalizzare un’unica cosa, che ripeterei all’infinito. Lei praticamente dice: repulsione della lettura alla lettura. Cioè si arriva a degli effetti di lettura piacevoli solo con un cambiamento a livello del saper leggere, del poter saper leggere, dell’entusiasmo e via dicendo. Sempre nella Nota italiana c’è un passaggio che Lacan sottolinea: per arrivare a tale entusiasmo occorre, prima, passare per le forche caudine dell’orrore. E provarlo. In altre parole non basta dire : “Aaaah! ero nel deserto, ho passato il deserto!”.
Marianna
Il testo di Marianna rinvia a qualcosa che tormenta Lacan e che egli presenta, tra l’altro, nel testo degli Scritti La scienza e la verità. Lacan riprende le quattro cause di Aristotele: la causa materiale, la causa formale, la causa efficiente e la causa finale. Lacan abbina la psicoanalisi alla causa materiale, la scienza alla causa formale, la religione alla causa finale. E abbina la quarta causa, la causa efficiente, alla magia. Vi sarà capitato in questi giorni di chiedervi : “Cosa cavolo è capitato nella capoccia di tizio o caio per fare quell’intervento là?! E soprattutto, come mai c’è stato un esito favorevole!”. Tutto ciò non è necessariamente collegato con il passaggio da psicoanalizzante a psicoanalista o eventualmente da psicoanalista a psicoanalizzante. Vale a dire Lacan si domanda: come mai uno ha degli effetti nel reale tramite il suo saperci fare? E in che modo tutto ciò è collegato con l’atto analitico? Vi rinvio a un intervento di Lacan del 1978 che trovate nell’ultimo numero de La Psicoanalisi, il n°69, dove Lacan dice, tre anni prima di morire, di essere «ancora in attesa di qualcosa che me lo chiarisca» (p. 11).
Transizioni
In trans
Adele Succetti
Membro AME SLP e AMP – Milano
—
Oggi, al termine del nostro XIX Convegno, presentiamo al pubblico qui presente e a quello connesso online, l’ultima raccolta di testi di Jacques-Alain Miller edita in Italia, intitolata: In trans, e pubblicata da Quodlibet Studio di Macerata. Il testo è suddiviso in quattro parti: Docile al trans, Docile al trans 2, Colloquio con Eric Marty su Il sesso dei Moderni, e i tweet di jamplus del 13 aprile 2021, data del compleanno di Jacques Lacan.
Ad eccezione dei tweets, tradotti da Francesca Lancetti Tellini, gli altri tre testi sono stati tradotti subito dopo la loro diffusione in francese, nel 2021, ad opera di Rachele Giuntoli, Laura Pacati, Giuliana Zani (che qui ringrazio) e della sottoscritta, e già pubblicati su Rete Lacan, l’a-periodico online della SLPcf. La Presidente Loretta Biondi e il suo Consiglio hanno però desiderato anche una pubblicazione cartacea, un libro che circolasse liberamente nelle librerie e tra le nostre mani. Le precedenti traduzioni sono quindi state affinate perché fossero più allettanti per il grande pubblico e spero vivamente che l’obiettivo sarà raggiunto. Sicuramente posso dire che i responsabili di Quodlibet e Antonio di Ciaccia, responsabile della collana Lacaniana presso l’editore, mi hanno sostenuta con impegno e cura in questo mio lavoro di labor limae.
Perché quindi un libro come questo, che interpreta il disagio della civiltà oggi?
Perchè, come ha indicato Jacques-Alain Miller già nell’anno 2021, siamo nell’epoca trans (a dire il vero, forse oggi siamo già oltre… siamo già, secondo l’orientamento che ci ha dato per il prossimo Congresso dell’Associazione Mondiale di Psicoanalisi, all’epoca del “tutti sono folli”), l’epoca in cui “l’ordine ha fatto splash”, in particolare rispetto alla sessualità, e, come spiega bene Miller, in questo ambito, la teoria di genere creata da Judith Butler e che si è diffusa in tutto il mondo occidentale è “una pessima bussola”. Il genere, infatti, è fluido, cangiante, le nominazioni LGBTQ+ e a seguire fanno credere in un continuum dei godimenti che non tiene conto dei punti di impasse a partire dai quali si manifesta invece quello che Miller chiama il nuovo paradigma di separazione – ognuno per conto proprio, ognuno con i propri pari, con quelli che godono nello stesso modo – che è il nuovo nome della segregazione oggi.
La psicoanalisi va contro queste contrapposizioni, sempre più diffuse e violente, punta sulla conversazione e sull’ascolto, non senza l’interpretazione. Dobbiamo – ci indica Miller – essere docili al trans ma prendere posizione contro le lobbies che, per sostenere il proprio potere, si alleano a trattamenti della sofferenza psichica che incidono nel reale del corpo, che non lasciano spazio al dubbio e alla divisione soggettiva e anzi che essenzializzano quello che invece, soprattutto per il soggetto minore, è solo il risultato di un lungo processo di assunzione della sessualità.
I quattro colleghi qui presenti sono quindi stati invitati a leggere il testo e a porre delle domande – o delle riflessioni – a Jacques-Alain Miller a partire anche dalla loro esperienza analizzante e clinica. Essi ci permettono di attualizzare, per così dire, il testo a partire dalla realtà italiana.
Questioni sulla Luna
Maria Siani
Partecipante SLP – Roma
—
Nel testo Docile al trans Miller afferma: «Ormai la tempesta è scoppiata. La crisi trans ci sta investendo»1.
In Italia, su Rete Lacan, i testi che hanno per oggetto la questione trans sono usciti sotto il titolo di “Uragano”.
Prima della pandemia, l’Associazione e il Consultorio di psicoanalisi applicata Il Cortile, di cui faccio parte, ha realizzato un progetto di contrasto alla violenza di genere in alcune scuole superiori di Roma. Nell’ambito di questo lavoro, abbiamo ricevuto diverse domande di aiuto e la richiesta di aprire uno “sportello trans/disforia di genere”, visto che per gli adolescenti è una questione molto sentita.
In Docile al trans Miller fornisce alcune chiavi per la lettura di questo “Uragano”, che a posteriori ci hanno fornito un aiuto per collocare simili richieste: «Perché questa nuova tolleranza per l’intolleranza? Perché viviamo sotto il regime dell’assioma di separazione»2.
Trans… che significante!!! JAM non dice transgender né transessuale ma trans… non è in gioco l’essere trans, l’identificazione, la “separazione” ma altro, mi pare. Mi sembra che il rischio possa essere quello di guardare il suo dito ma non la luna che ci sta indicando. Come non perdere di vista questa Luna?
Seconda questione. Nel testo Docile al trans, Miller, parla di “Il rispetto e la gentilezza”, poi passa alla tolleranza verso l’intolleranza per arrivare a docile al trans. Mi chiedo: perché usa“docile a”?
—
[1] J.-A., Miller, In Trans, Roma, Quodlibet Studio, 2022, p.7.
[2] Ivi, p.23.
Lo spazio del soggetto e dell’interpretazione nel tempo trans
Chiara G. Nicastri
Partecipante SLP – Roma
—
«Il soggetto, come possiamo negarlo? S’impone»
H. Cartier-Bresson1
La questione trans tocca e interroga i nostri tempi in modo radicale. Come sappiamo questo avviene a molti livelli, che sono convocati sulla scena attivamente: sociale, politico, giuridico, sanitario, clinico, mediatico – giusto per menzionarne alcuni, non tutti. Livelli che, a vario titolo, si trovano a operare nel medesimo crocevia, non senza interazioni e ricadute dell’uno sull’altro, come è intuitivo che sia. Meno intuitive e prevedibili potrebbero essere a oggi le incidenze di tali incontri, delle quali vale la pena seguire il fil-rouge per reperirne la logica.
Nel dialogo con Éric Marty “Colloquio su Il sesso dei moderni” Jacques-Alain Miller sottolinea come la teoria di genere dica qualcosa di «molto profondo sulla nostra attualità, modernità o postmodernità»2. Della rilettura critica che, in queste pagine, viene fatta dell’opera di Judith Butler isolo un elemento che torna in più punti, quello che viene individuato come uno «scenario senza soggetto, senza alcuna interlocuzione soggettiva […]. [prosegue Marty] Butler è contro l’idea del soggetto, contro l’idea del montaggio soggettivo»3, propone un’identità di genere prodotta socialmente, in cui il genere si costituisce nella costruzione dell’identità di genere, nell’interazione sociale.
Miller nell’intervento tenuto alla conferenza “La femminilità il fallico e la questione transessuale” torna sul soggetto sottolineando lo statuto peculiare che questo assume nell’ambito dell’ideologia trans, per la quale «l’essere umano è prima di tutto un soggetto di diritto. Cos’è un soggetto di diritto? È un soggetto identico a se stesso. È un soggetto che risponde all’equazione io=io. [e precisa più avanti] è l’antitesi del soggetto dell’inconscio»4.
Punto di riflessione cruciale per ciascun clinico il cui ascolto e la cui interpretazione sono tesi verso il soggetto, non inteso a livello sociale, ideologico, di diritto, ma il soggetto dell’inconscio quello che non risponde, anzi sconfessa l’equazione io=io, e che emerge proprio in questa non coincidenza.
In questo punto, allo stato attuale, si delinea una questione non di poco conto per i clinici. Non sarebbe propriamente l’ascolto a essere messo in discussione, anzi questo è incoraggiato a più livelli (basta pensare anche all’aumento dei webinar, delle pubblicazioni, dei nuovi modelli proposti, alla sollecitazione ad acquisire competenze specializzate), e la parola detta acquista un peso specifico molto consistente. La cosa è abbastanza comune per chi con la parola ci lavora ma, si aprono a raggera una serie di questioni, per esempio, che posto trova quella parola? Ci sono tante idee in merito anche molto diverse, in questa direzione riporto – come esempio – un passaggio della statunitense Diane Ehrensaft la quale nel suo libro Il bambino gender creative afferma: «un semplice verbo sarà inoltre uno degli indicatori che possono differenziare una giovane persona transgender da altri bambini dotati di creatività di genere. Si tratta del verbo essere. I bambini che ci stanno comunicando il loro io transgender diranno spesso “io sono un/una… (inserite il genere opposto o qualche altro genere)” […]. Nel caso di quei bambini che non sentono la necessità di usare delle perifrasi per tranquillizzare gli altri o che non si sono trovati di fronte a reazioni di confusione o di disapprovazione, però, quella semplice frase, “io sono un/una”, è un chiarissimo segnale che identifica un bambino come non appartenente al genere che la gente gli attribuisce […]»5.
Come evidenziano J.-A. Miller nel testo sopracitato ed Ève Miller-Rose6, nel contesto che si sta delineando l’interpretazione rischia di trovare sempre meno spazio, di essere fraintesa; «qualunque interpretazione sarebbe impossibile»7 nel solco di quell’equazione che sovrappone il soggetto dell’enunciato a quello dell’enunciazione e che rintraccia nell’asserzione dell’individuo qualcosa di ascrivibile all’ordine di una verità completa, fissa, che schiaccia colui che parla sul proprio detto professandone la completa corrispondenza.
Riprendo, come bussola, un passaggio del Seminario XI in cui Jacques Lacan delinea i termini della duplicità del soggetto, articolata nella non coincidenza fra soggetto dell’enunciato e soggetto dell’enunciazione: «[…] l’io che enuncia, l’io dell’enunciazione, non è lo stesso dell’io dell’enunciato, vale a dire lo shifter che, nell’enunciato, lo designa»8.
Ma se, come ci ricorda Lacan a più riprese, è proprio nell’inciampo che il soggetto si dà, emerge, come fare per preservare quello spazio di inciampo, dubbio e interrogazione, all’interno di un meccanismo polifonico che sembra schiacciarlo proprio in nome del soggetto stesso?
—
[1] H. Cartier-Bresson, L’immaginario dal vero, Milano, Abscondita, 2005, p.24.
[2] È. Marty, J.-A. Miller “Colloquio su Il sesso dei moderni”, in: J.-A. Miller, In Trans, Quodlibet, Macerata 2022, p.48.
[3] Ivi, p. 94.
[4] J.-A. Miller, La questione trans, intervento tenuto alla conferenza La femminilità il fallico e la questione transessuale organizzata il 29 maggio 2021 da Espace Analytique, https://www.marcofocchi.com/di-cosa-si-parla/la-questione-trans
[5] D. Ehrensaft, Il bambino gender creative, Città di Castello, Odoya, 2019, p.81.
[6] Cfr. È. Miller-Rose, L’enfant trans et ses énoncés, in: H. Damase, D. Roy, L. Sokolowsky (a cura di), La sexuation des enfants, Paris, Navarin, 2021.
[7] Ivi, p.148.
[8] J. Lacan, Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Torino, Einaudi, 2003, p.135.
L’Altro che ammala?
Riccardo Andolcetti
Membro SLP e AMP – Pisa
—
Riprendo l’augurio con il quale Jacques-Alain Miller conclude Docile al trans: «Lacan elogia Freud, che seppe mostrarsi “docile all’isterica”. Vorrei potermi congratulare anch’io con il praticante di oggi per aver saputo essere “docile al trans”. È davvero così?»1.
Ripeterlo è una bussola: Freud è stato docile alle isteriche, sapendo ascoltare, sapendo farsi insegnare, allo stesso tempo però, era fermo quando si trattava d’interrogare il sintomo sul versante sessuale. Proprio nell’Epoca Vittoriana, in cui fare ciò era scandaloso! Oggi scandaloso è non essere corretti, al passo con i tempi, delicati nel maneggiare il vocabolario LGBTQI+.
Nel testo Il Sintomo Psicotico, Jacques-Alain Miller sottolinea che: “il diritto impone le sue categorie, noi abbiamo concetti clinici che mettiamo a punto ma sono i concetti giuridici a strutturare il mondo”2. Poco prima nel medesimo testo riprende l’indicazione che Virginio Baio rivolgeva agli operatori dell’Antenna 110 di Bruxelles: essere “docili con il soggetto, ma intrattabili con l’Altro”3.
Mi chiedo quel docile e quell’intrattabile come si possano articolare nel tempo trans.
Come saperci fare con il soggetto, ma soprattutto dove collocare questo Altro da trattare?
Sul sito dell’Istituto Superiore della Sanità4 si possono consultare le linee guida della World Professional Association for Transgender Health (WPATH), l’associazione internazionale multidisciplinare che ha lo scopo di promuovere la salute delle persone transgender. Si viene dirottati sul portale Info-Trans nato dalla collaborazione tra l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali – Presidenza del Consiglio dei Ministri (UNAR). Ai professionisti psicologi e psichiatri si indica come causa principale della sofferenza nei transessuali la transfobia interiorizzata, causata dalla disapprovazione sociale e dallo stigma.
Questo punto riporta a una serie di considerazioni a partire dai testi, sulla questione trans, pubblicati recentemente da Miller. Il quale innanzitutto sottolinea il fatto che «oggi la questione trans è più ampia del transessualismo. È propriamente transgenderismo, se così posso dire»5. In questo movimento, di assorbimento del transessualismo nel registro del transgenderismo, si osserva qualcosa di nuovo che non lascia indifferenti: «l’entrata della politica nella clinica»6. Quello a cui assistiamo in questo punto è, come sottolinea Miller, un contrasto fra il soggetto sofferente che va incontro a tutta una serie di interventi e cure, e che capita di ascoltare nei nostri studi, e la modalità rivendicativa degli attivisti: «è una patologia solo per colpa tua, perché tu ne fai una patologia»7.
È l’Altro che è malato, che è da curare. Per i movimenti in difesa della libertà di genere questo Altro è la cultura, la società, la psicoanalisi, che interpretano, diventando oggetto di dibattito pubblico. In questo modo un possibile rischio è che la psicoanalisi stessa venga collocata nel posto dell’Altro da trattare. Come auto-trattarsi senza indietreggiare di fronte al disagio della civiltà per non ritrovarsi nel punto in cui, all’epoca dei primi studi di Freud, le isteriche ponevano il sapere medico? Esso era il posto del padrone, nei confronti del quale, il soggetto isterico rivolgeva, attraverso il proprio sintomo, la propria rivendicazione. La questione trans è sicuramente più complessa: le isteriche rivolgevano una lotta politica non organizzata, la rivendicazione trans si innesta al contrario nella legge e nella politica.
—
[1] J.-A. Miller, Docile al trans, in: J.-A. Miller, In Trans, Macerata, Quodlibet, 2022, p.37.
[2] J.-A. Miller, Conversazione: Prima serie. Il godimento deriva, in: J.-A. Miller (a cura di), Il sintomo psicotico, Roma, Astrolabio, 2000, pp.175-176.
[3] Ivi p.175.
[4] https://www.iss.it/identità-di-genere
[5] J.-A. Miller, La questione trans, intervento tenuto alla conferenza La femminilità il fallico e la questione transessuale organizzata il 29 maggio 2021 da Espace Analytique, https://www.marcofocchi.com/di-cosa-si-parla/la-questione-trans
[6] Ibid.
[7] Ibid.
Lavorando IN TRANS
Aurora Mastroleo
Partecipante SLP – Milano
—
Nella lettera del 2017 indirizzata alla Presidenza della SLPCf,1 Miller riscontrava che gli italiani erano: “come d’abitudine, in riserva”. E ora i testi tradotti e pubblicati quasi in diretta su Rete Lacan e ora raccolti in Italia nel volume IN TRANS producono su di me un “effetto speciale”; direi un sonoro incitamento, esplicito, diretto, dedicato che apre diverse questioni che mettono al lavoro.
1. Forse che prendendo un po’ alla lettera Lacan, ci siamo abituati a pensare che sia opportuno attendere un secondo tempo (logico), un tempo successivo a quello durante il quale i fenomeni sociali si realizzano, per poterne poi dire qualcosa? Bisogna veramente attendere, prendersi del tempo per comprendere e quindi maturare un secondo tempo, poi sempre rinviato? Questo suona un pò il mantra italico. Miller invece non attende. Come nel suo intervento In direzione dell’adolescenza2 rispetto alla radicalizzazione dei giovani islamici pronunciato all’inizio del 2015, l’anno dei più violenti attacchi terroristici in Europa, anche dichiarando “2021 anno trans” Miller entra sulle questioni sociali in presa diretta e constata: “la crisi trans ci sta investendo”3. E qui? In Italia nel 2021 si dibatteva in Parlamento e pure fuori il DDL Zan e intanto io, nel mio piccolo, recepivo un’imprevista – e a me nuova – ondata di richieste d’ascolto di bambini e ragazzi di scuole medie e licei alle prese con la domanda di transizione, altri nel rifiuto della sessualità, altri nella rivendicazione o ricerca di una qualche fluida definizione di genere. Che tempismo! Ma che forse talvolta sia necessario lasciarsi sfiorare dal sociale e così avvertire una certa urgenza desiderante, piuttosto che rimandare liturgicamente ad un mitico secondo tempo, diverso da quello in corso?
2. Nella sua Arringa pro domo Miller fa un outing straordinario, dice: “per anni vittima di indicibili ed incessanti abusi di autorità morale da parte di mio suocero, sia pubblici che privati” etc… e conclude infine definendosi a proud victim, proprio come i trans! Così, con una pennellata di gustosissima autoironia mi pare lanci un monito preciso: contrastare la retorica della discriminazione sociale è essenziale per far esistere l’inconscio, cioè quel soggetto lacaniano che è l’effetto del significante.
Come fare? Inclusione, questo significante ha un posto di privilegio nella gender wave e, in Italia, pure nell’Istituzione scolastica. Inaugurato dalla Riforma della Buona Scuola, emanata per decreto dal Governo Renzi nel 2015, questo significante domina il discorso scolastico: si deve essere inclusivi con i dis, e cioè i disabili, disforici di genere, dislessici ecc. Mi pare che il significante inclusione e il suo significato si cementificano dando luogo ad un dedalo di iter burocratici – che ricordano lo stile dell’azzeccagarbugli di manzoniana memoria – e certificazioni atte ad omologare le individualità e quindi segregarle. Come contrastare tutto questo? Il problema è la coppia “inclusione-discriminazione”, coppia diabolica perché rende (ahimè) colpevolmente discriminatoria qualsiasi differenziazione, strutturale e soggettiva. Occorrerebbe forse affinare una nuova tattica e una strategia dell’interpretativo (quello che riconosce la soggettività e ne distingue il divino dettaglio) che tenga conto delle coordinate sociali in cui ci troviamo.
3. Provando ad avvicinare la tesi di Miller alla realtà italiana, mi pare allora che qui “il nuovo brivido” del Trans si produca dall’incontro tra il suprematismo dell’Arcigay (contro fobico, cioè a contrasto dell’omo-trans-fobia) e l’assioma della Big mother, cioè l’assioma dell’accoglienza inclusiva, della cura. Quest’ultimo, qui nel Bel Paese, mi pare raccolga particolari entusiasmi attorno al mito pedagogico della salvaguardia della libertà del bambino, di cui abbiamo una Madonna nostrana, Maria Montessori, a cui è stata dedicata l’indimenticata banconota delle Mille lire. Forse anche questo contribuisce ad addormentare nella logica segregativa qualsivoglia ribellione, soggettiva o collettiva che sia?
4. Forse siamo tutti in trance sulla questione del “nuovo brivido del trans” e dalla trance, non si esce da soli, infatti Miller ci dice che “contrastare la tendenza segregativa non è una cosa naturale”, non viene da sé, occorre un “desiderio deciso” e pure “comune” e che abbia” un’incidenza nel sociale”. Occorrerebbe infittire quella rete che può sostenere il transfert di ciascuno verso la psicoanalisi. Magari agevolare l’abbordaggio, che nella nautica è possibile solo a condizione di non temere troppo la collisione.
5. IN TRANS appassiona e coinvolge ma lascia pure a bocca asciutta, non ci dà indicazioni con la questione clinica transgender…tranne una, che appare in apertura: tenere tenacemente sulla “titubanza dei soggetti”, farla valere ed interrogarla. Indicazione che mi è stata preziosissima con la confidenza di un bambino di 11 anni: “alle elementari ero gay ma poi, da quando mia mamma ha avuto una nipotina, non lo sono più. Non so più cosa sono; forse ora voglio essere anche io una bambina”. Quel “forse” ha consentito di sostenere il discorso circa il mistero delle proprie origini e dato avvio ad una serie di elucubrazioni circa l’inesistenza del rapporto sessuale. Questa può forse essere considerata un’operazione preliminare nel tempo trans?
—
[1] P. Bolgiani, L’entrée de Zadig en Italie – Lettera alla Slp, in “Lacan Quotidien” n°725, 21 giugno 2017, http://www.lacanquotidien.fr/blog/wp-content/uploads/2017/06/LQ-725-A.pdf
Mi riferisco al paragrafo intitolato: Di fronte alla scienza, un’altra tradizione: l’islam; dal testo In direzione dell’adolescenza in Generazione DAD. Scuola, politica e psicoanalisi” (a cura di I. d’Elia), Pequod, 2022; pp.33-37.
[3] Jacques-Alain Miller, In trans, Quodlibet Studio, 2022, p.7.