Responsabile: Adele Succetti – retelacan@gmail.com
Redazione: Omar Battisti, Sara Bordò, Rachele Giuntoli, Pasquale Mormile
Grafica a cura di: Matteo De Lorenzo
Per il sito: Valentina Lucia La Rosa

Sommario

Rete Lacan n°46 – 14 settembre 2022

Editoriale

Rete Lacan riprende il suo corso, con una nuova redazione – costituita da Omar Battisti, Sara Bordò, Rachele Giuntoli e Pasquale Mormile, oltre a Matteo De Lorenzo che, come ha già fatto nel passato, si occuperà delle nostre belle copertine.

A più di tre anni dalla sua creazione, Rete Lacan rilancia il suo lavoro di pubblicazione, per fare rete nel Campo freudiano in Italia, dando spazio a brevi testi che, dal Campo freudiano tutto, possano orientarci (e orientare ogni lettore) nella lettura del “disagio della civiltà” contemporanea grazie agli strumenti che la psicoanalisi lacaniana – attraverso l’insegnamento di Jacques Lacan e di Jacques-Alain Miller – ci fornisce.

In questo numero, è con grande piacere che vi presentiamo due brevi testi che J.-A. Miller ha scritto di recente su Twitter e un intervento orale che ha tenuto durante l’ultima Giornata di studio Uforca,1 consacrata alle Problematiche contemporanee della sessualità. I testi sono già stati pubblicati in francese a cura di Katty Langelez-Stevens su Hebdo-Blog n. 276;2 si tratta di tre brevi testi, dei veri e propri “lampi”, che fanno comprendere come Jacques-Alain Miller è intervenuto, e interviene, in rete – su questioni di politica e di società – e durante una giornata di lavoro e di commento di casi clinici in analisi. Dopo la pubblicazione italiana di In trans,3 il confronto approfondito tra psicoanalisti del Campo freudiano sul trattamento di alcuni “trans in analisi” porta alla luce le opacità e le complessità messe a tacere sotto (e con) il vocabolario della cosiddetta disforia di genere. Come ci indica J.-A. Miller – che qui ringraziamo per averci autorizzato a tradurre e a pubblicare i suoi pezzi – in un’epoca in cui la norma non esiste, il “luogo dell’Altro non è da cogliere altrove che nel corpo”,4 un corpo-trauma che fa appello a nuovi significanti per dare un posto all’indicibile del parlessere. Che ne è, però, dell’inconscio? Forse, come suggerisce JAM, ora ci troviamo sempre più spesso di fronte a casi in cui l’inconscio viene smentito, negato … messo a tacere…

Intriganti sono, quindi, i brevi contributi di Omar Battisti e di Mariangela Mazzoni che qui pubblichiamo.

Buona lettura!

Adele Succetti

[1] UFORCA pour l’Université Populaire Jacques Lacan, informazioni sul sito : https://www.lacan-universite.fr/

[2] Testi disponibili in francese al seguente link: https://www.hebdo-blog.fr/?sfid=9319&_sf_s=miller

[3] J.-A. Miller, In trans, Quodlibet, Macerata, 2022.

[4] J. Lacan, “La logica del fantasma”, Altri scritti, op. cit, p. 323.

Judith e il comandante*

Jacques-Alain Miller
Domenica 5 giugno 2022

Una collega di Buenos Aires mi ha twittato ieri sera il filmato di un’intervista con Judith, in spagnolo e nel suo studio, credo. Non l’avevo mai visto, ed è solo la parte 2/5. È per me… È lei. Judith Miller, figlia di suo padre. Sto ritwittando.

Non ho ancora guardato le altre 4 parti. La mia gratitudine va a Susanay T.H. Ho visto un tweet sul suo feed in cui mi rimprovera per aver rifiutato di concederle un’intervista di 15 minuti. Mi dispiace. Ma sono fatto così. Vedo che ci sono altri video di Judith in rete.

In risposta a Susanay Tomas Hoffmann

Ascolti Susanay, non si disturbi a farmi la predica. Il mio “sono così” è stato ispirato da un mio video di cui non conoscevo l’esistenza, risalente al 2011, trentesimo anniversario della morte di Lacan, e che ho trovato ieri sera mentre cercavo quelli di Judith. Confidavo che avevamo diviso le cose tra me e mio fratello nel modo seguente: a lui la luce, a me l’ombra. È felice di essere riconosciuto e applaudito per strada. Io rimango confinato nel Campo freudiano, nel mio studio, nella mia biblioteca e con i miei amici. Ora Twitter mi fa respirare. A quanto pare, questo dà fastidio, non è un gioco. Io sono il Comandante, lui non si agita o è un disastro. Giusto. Ebbene, la gratitudine che ho per lei, per aver servito così bene la memoria di Judith, mi spinge a dirle: mi chieda quello che vuole – nei limiti della semplice ragione, come dice Kant – e lo farò.

Traduzione: Adele Succetti

*Testo preparato da Katty Langelez-Stevens, non revisionato da J.-A. Miller e pubblicato per sua gentile concessione. Disponibile, in francese, qui di seguito: https://www.hebdo-blog.fr/judith-et-le-commandeur/

L’anaRlysta*

Jacques-Alain Miller
Martedì 7 giugno 2022

 

Ripensamento

Fondamentalmente, in politica, jamplus è contro tutto ciò che è a favore e a favore di tutto ciò che è contro. È un anaRlysta!

Un altro ripensamento

jamplus pensava che i suoi principali riferimenti in politica non fossero altro che pezzi grossi. In francese, oltre a Lacan: Corneille e Molière; Montesquieu e Voltaire; Joseph de Maistre, Stendhal e Baudelaire; Valéry e Sollers. Ebbene, tutto sommato, si chiede se non sia soprattutto: Rabelais, “il riso è il proprio dell’uomo”; Dada, stravagante, libertà assoluta e istanti di vedere; Pierre Dac, conosciuto come il re degli strambi (a parte questo, suicida); e Francis Blanche, l’asso della burla.

Perché ho dimenticato Pascal? Ho trovato! Perché ho dimenticato anche Mauriac (Bloc-Notes). Poi mi sono lanciato inaspettatamente nella redazione di un thread di cui ho già 5 tweet. Per paura che siano cancellati, li ho pubblicati in fila prima di continuare.

Après-coup dell’après-coup

Ho dimenticato (perché?) Pascal. Le provinciali e i Pensieri.


Un mensch – Pierre Dac

L’ho scritto di getto, senza pensarci. Mi viene in mente che la formula era il motto del giornale di Pierre Dac. Geniale umorista e grande combattente della resistenza. Una delle voci di Radio Londra, “I Francesi parlano ai Francesi”. NB: ANARLYSTA, con la y.

Traduzione: Adele Succetti

*Testo preparato da Katty Langelez-Stevens, non revisionato da J.-A. Miller e pubblicato per sua gentile concessione. Disponibile, in francese, qui di seguito: https://www.hebdo-blog.fr/lanarlyste/

UFORCA – Cinque osservazioni sul caso presentato da Nathalie Crame*

Jacques-Alain Miller
18 giugno 2022

Ho apprezzato molto che lei abbia cercato in Lacan l’osservazione secondo cui la figlia sembra aspettarsi più sostanza dalla madre. Questo pone la sostanza dalla parte della madre. E dalla parte del padre qualcosa di formale, di sublimato. Si tratta di un’indicazione molto importante che riprende in un altro modo un paio di nozioni che Lacan ha già esposto ne “I complessi familiari nella formazione dell’individuo”1, cioè nel suo primo grande articolo degli anni Trenta dove oppone anche delle variazioni sulla materia e sulla forma. La materia sul lato della madre, la forma sul lato del padre, cioè una distinzione molto antica che deriva da Aristotele. Si può dire: “è meraviglioso, guardate questa continuità, Aristotele ci dà ragione”. Oppure si può dire che c’è qualcos’altro da trovare perché è davvero antico e dovrebbe essere formulato in modo diverso. Lascio aperto questo punto. Io stesso non sono contrario a nessuna delle due scelte. È molto interessante che lei ponga questa domanda.

Mi è piaciuto molto il sottotitolo, che lei ha scelto, “alla ricerca dei significanti”. Fa molto Alla ricerca del tempo perduto. Anzi, si potrebbe dire “alla ricerca del significante perduto”. C’è stata una perdita di significante. Di conseguenza, deve essere ritrovato e lei lo sta cercando, come lei dimostra molto bene: lo cerca su Internet, lo cerca ovunque. Lo cerca nello spirito del tempo. E se avessi una lavagna, scriverei: S1 -> S2. Metterei S1 dentro un cerchio perché è più facile da cancellare. L’S1 non c’è più. L’S1 è il significante di identificazione, dove la posizione soggettiva sarebbe identificata con il corpo. Quindi è un significante di identificazione con diversi significati. Lo cancello e cosa mi rimane? Al posto di questo 1, resta il 2. Cioè, cerco dei significanti e quindi, accanto a S2, scriverei S3, S4, S5 e così via. È davvero molto semplice, ma organizza abbastanza bene ciò che lei ha apportato qui e l’enfasi che ha messo sulla ricerca di parole adeguate al suo problema, il problema che deriva dal fatto che, misteriosamente, l’S1 è scomparso. E così si va dall’1 al multiplo. Qui c’è una pluralizzazione che traduce il fatto che “c’è qualcosa che non esiste”, mentre c’è una pluralizzazione connessa che è la diretta conseguenza dell’inesistenza dell’1. Quindi questo ci ricorda effettivamente “La donna non esiste”, ma qui, nella problematica della transizione, non è solo la donna a non esistere. Di tanto in tanto, c’è l’uomo che non esiste e che a volte costringe il ragazzo ad andare a cercare altrove. S2, S3, S4, questo risponde davvero a ciò che lei presenta.

S1 -> S2

Ø -> S2, S3, S4, S5

Questa cosa mi ha fatto pensare a una massima di La Rochefoucauld che adoro e che mi sembra così precisa. Mi piace il taglio delle massime di La Rochefoucauld. Io ci sto provando. Al momento invio molti tweet, in cui si possono inserire solo 280 caratteri. Faccio fatica e quindi invio una serie di tweet che diventano un lungo testo. Ma la parte migliore è quando si riesce a farlo in 280 caratteri. Inoltre, la mia soddisfazione (probabilmente la gente non se ne rende conto) è che faccio molti tweet che arrivano precisamente a 280 caratteri. Cerco di farlo. È un piccolo godimento, ma accetto anche che ci siano 5 caratteri non occupati. Quindi la citazione: La Rochefoucauld sarebbe il re dei tweet perché è molto breve e dà molte idee. La massima che adoro è la 136 e dice: “Ci sono persone che non si sarebbero mai innamorate se non avessero sentito parlare dell’amore”. Credo che Lacan la citi da qualche parte. Per me è una guida per la vita. È un orientamento fondamentale che si ritrova anche qui. Se non avessimo sentito parlare di transizione, ci sarebbero così tante persone trans? Per esempio, c’è un libro eccellente di una giornalista dell’Economist. Non è affatto una specialista in medicina. Si intitola Trans, è in inglese, non tradotto a quanto mi risulta. Non parla affatto di psicologia, psicoanalisi, ecc. Insiste sul ruolo decisivo, secondo lei, dell’aumento nella stampa e nei media del discorso sulle persone trans. Partendo dal XIX secolo, dice che c’è stata una sola persona trans famosa, poi sono diventate una decina, e ora sono sulle copertine delle riviste, è il vincitore dell’Eurovision, ecc. Abbiamo solo l’imbarazzo della scelta. Studia questo fenomeno da economista: quanti articoli sui media e quanti trans ne derivano, secondo lei. Questo è abbastanza in linea con La Rochefoucauld. È un incontro alla Lautréamont, tra l’ombrello e la macchina da cucire, tra La Rochefoucauld e questa giornalista dell’Economist che va più o meno nella stessa direzione.

In terzo luogo, un’osservazione per estendere questo ragionamento alla questione della norma, studiata da Aurélie Pfauwadel in un lavoro che mette a confronto Lacan e Foucault su questo tema. Finora, tradizionalmente, abbiamo funzionato sulla base della seguente opposizione: c’era la norma – eventualmente si accettava di pluralizzarla, si diceva “è la norma dell’ambiente, non è la norma nazionale, alcune comunità hanno una norma, altre comunità hanno un’altra norma”. Ma c’era La norma, il che significa che, in relazione, c’era anche l’anormale. Una norma e un anormale. Ciò che è cambiato è la pluralizzazione della norma. C’è una pluralizzazione della norma e questo è correlativo del fatto che “la norma non esiste”. Oggi la norma non esiste più. C’è una pluralizzazione delle norme e una norma vale l’altra. La norma media francese è quantitativamente la norma della maggioranza: gli uomini indossano i pantaloni, le donne vanno con i capelli scoperti e poi c’è la norma dei quartieri musulmani: gli uomini indossano la djellaba e le donne portano il velo. Questa è la norma, non esiste una norma assoluta. Una norma vale l’altra e devono coesistere. Questa è l’idea del comunitarismo che è grossomodo molto accettata. Negli Stati Uniti è così, in Inghilterra è così, in vari paesi europei è così, solo la Francia non lo accetta e vuole imporre la sua norma nazionale. Da questo punto di vista, la Francia e la laicità alla francese sono disconosciute dal mondo intero, incomprese. Penso che sia fantastico che la Francia sia un’eccezione. Penso che corrisponda bene alla vocazione francese. Ad esempio, ci si chiede se Macron sia laico o meno. Ma naturalmente vuole distruggere la laicità alla francese. Lo ha nascosto durante i suoi primi cinque anni di governo e ora è assolutamente evidente. Questa corrente è coerente con l’unica linea che egli mantiene, ossia la modernizzazione, l’allineamento della Francia alla globalizzazione. Per me, questo è completamente legato alla nostra questione clinica. Dal momento in cui la norma non esiste, le norme sono equivalenti. Non c’è quindi motivo per privilegiare una norma rispetto a un’altra. Poi si apre la scelta. Sono stato educato intellettualmente nella scelta comunista, sono di tradizione francese e sono molto legato all’unità, ma capisco che ci siano altri che sono girondini, per esempio, e ce ne sono molti a questo tavolo. O come Philippe Sollers che è un girondino e non mi dispiace che partecipino all’unità nazionale come i giacobini. Si tratta di scelte politiche. Non pensavo che avrei detto tutto questo, ma a causa degli eventi attuali e del voto. Stiamo cercando cosa votare.

A un certo punto la paziente dice: “Cosa voglio è una domanda terribile”, e questo è davvero notevole. Di solito questa domanda viene posta classicamente nei termini indicati da Lacan, “cosa vuole?”, “cosa vuole l’Altro?”. Qui si tratta di “cosa voglio?”, questo fa la differenza. Normalmente è la domanda del desiderio dell’Altro. Qui è lei che è un mistero per sé stessa, non è che non riesce ad interpretare l’Altro, è lei che non riesce ad interpretare se stessa. Quindi potremmo forse dire che questo è il desiderio del corpo. Non è il desiderio dell’Altro, è il desiderio del corpo. E se volessi andare oltre in questa direzione, farei notare che nel suo commento a “La logica del fantasma” a pagina 323 degli Altri scritti, questo è il momento in cui Lacan ha stupito il suo pubblico intellettuale quando dice che il “luogo dell’Altro non è da cogliere altrove che nel corpo”2. Egli mostra che è sul corpo che si iscrivono le cicatrici. Ci sono iscrizioni e oggi questo è molto diffuso con i tatuaggi. In passato, lo psicoanalista che vedeva arrivare un paziente con un piccolo tatuaggio riteneva che fosse il segno di un deficit. Oggi le persone arrivano con le braccia completamente ricoperte di tatuaggi. Siamo costretti ad accettarlo come un fatto dei nostri tempi che è normalizzato in tutto il mondo. Non è assurdo dire che quello che la ragazza trova spaventoso è il desiderio che viene dal suo corpo e che non riesce ad interpretare. Ciò che gli altri chiamano “disforia di genere”, per noi riguarda il desiderio del corpo. È facile dirlo, ma ora bisognerebbe costruirlo. Lo dico un po’ di fretta, ma mi sembra che così possa reggere. Da verificare.

Infine, mi è piaciuta molto l’espressione che ha usato, ovvero che sta cercando un dizionario per dare un nome a ciò che le sta accadendo. Mi è piaciuta molto la parola “dizionario” e mi ha fatto pensare a chi penso sempre – penserete che è un’ossessione: penso a Lacan. Ho pensato a questa frase che ho ritrovato negli Altri scritti a pagina 222, nel “Piccolo discorso all’ORTF”3. L’ORTF, come si diceva all’epoca, era l’equivalente di France2 oggi, era il canale tv ufficiale. Quando gli Scritti uscirono nel 1966, l’ORTF invitò Lacan a parlare un po’ del suo libro. Hanno invitato Lacan perché certamente nessuno era pronto a parlare degli Scritti, perché nessuno ne capiva nulla. Così hanno pensato che forse l’autore ci capisse qualcosa. Ricordo bene questo testo perché all’epoca facevo i Cahiers pour l’analyse nel 1966, che era una rivista di allievi dell’École normale per la quale Lacan aveva scritto “La scienza e la verità”, inizialmente ciclostilato in trecento copie. Fu un regalo famoso ed è stato l’ultimo testo pubblicato negli Scritti. Sfortunatamente, non sono riuscito a sgraffignare il “Piccolo discorso all’ORTF”. Questo è stato pubblicato in un’altra rivista. Ricordo molto bene le circostanze. E ricordo molto bene questa frase in cui Lacan parla del dizionario che ognuno ha in testa e che si chiama inconscio. Era in relazione all’interpretazione dei sogni. E mi sono detto che siccome lei usa la parola dizionario – e credo che non abbia questo riferimento di Lacan -, allora è autentico, non è una copiatura. Non potremmo dire che questi tre soggetti di cui stiamo parlando, questi tre soggetti del pomeriggio e i tre del mattino, hanno comunque un problema con l’inconscio. Hanno un problema con il dizionario dell’inconscio. Ciò che colpisce nel suo testo e negli altri due è che non si tratta di interpretazione. Non c’è la porta aperta. C’è il lapsus “rivolta”,4 ma non è un’interpretazione. È il fatto che solo apparentemente c’è un fenomeno dell’inconscio. È una piccola oasi in un deserto, una goccia. Questo dovrebbe essere studiato, è una cosa seria. Che ne è dell’inconscio nei casi di trans? È molto probabile che l’inconscio sia un termine del tutto inadeguato. Inoltre, l’uomo chiamato Preciado sottolineava proprio questo tema: “La psicoanalisi è inadeguata per le persone trans”, diceva. Potremmo forse dargli ragione dicendo che è perfettamente esatto che lei non ha un inconscio. Sartre ha detto di non avere un super-io. Se si può andare in giro senza un super-io, si può anche andare in giro senza un inconscio.

Traduzione: Adele Succetti

*Testo preparato da Katty Langelez-Stevens, non revisionato da J.-A. Miller e pubblicato con la sua gentile concessione. Disponibile, in francese, qui di seguito: https://www.hebdo-blog.fr/uforca-cinq-remarques-au-cas-presente-par-nathalie-crame/

[1] Cfr. J. Lacan, “I complessi familiari nella formazione dell’individuo”, Altri scritti, Einaudi, Torino, 2013, pp. 23-84.

[2] J. Lacan, “La logica del fantasma”, Altri scritti, op. cit, p. 323.

[3] J. Lacan, “Piccolo discorso all’ORTF”, Altri scritti, op. cit, p. 222.

[4] In francese, la ragazza con un lapsus ha condensato il termine “révolte”, rivolta, con il termine “rivale”, rivale. [N.d.T.]

Cosa fa JAM su Twitter?

Omar Battisti – membro SLP e AMP 
Longiano, 18 luglio 2022

Faccio mia questa domanda che ho letto da qualche parte in internet.

Non ho gli strumenti per rispondere ma avanzo qualche azzardo.

Anzitutto una domanda preliminare: perché interessarsi a quello che fa JAM su twitter? Quello che fa mi riguarda? È lo stesso Miller che in un recente tweet afferma di non intervenire che a titolo personale. Per me Miller non è il capo di una tribù che dice a tutti cosa devono pensare, dire e fare. Il suo prendere posizione in maniera così netta e spesso goliardica e dissacrante è qualcosa di interessante proprio a partire da una frase scritta in uno dei testi presentati su Rete Lacan che Miller ha autorizzato a pubblicare, dopo averglielo chiesto:

“Fondamentalmente in politica jamplus è contro tutto ciò che è a favore e è a favore di tutto ciò che è contro. È un anaRlysta”.

Devo dire che nel paese dove vivo si direbbe che è un bastian contrario. Questo mi porta a far presente come laddove ogni accadimento pubblico suscita una pletora di tifosi incalliti o acerrimi nemici, l’operazione di jamplus trovo miri a mischiare le carte, scombussolando la rigidità delle posizioni, forse per permettere una conversazione. Conversare non è qualcosa che si fa solo in un salotto con persone a modo, si può farlo in molti modi. Qui mi colpisce un breve cenno di jamplus in un suo altro testo pubblicato in questo numero di Rete Lacan. Parlando di suo fratello evoca il fatto che avevano diviso le cose tra loro nel modo seguente: a lui la luce e a Jacques-Alain l’ombra. Immediatamente questo mi ha riportato alla sua prima lettera all’opinione illuminata del settembre 2001, quando con una tagliente ironia colpì di filetto D&D in merito ad un loro attacco rivolto all’École de la Cause freudienne. In quella lettera Miller si congratula con Denis per averlo saputo stanare, dato che fino a quel momento non aveva mai reagito a nessun attacco contro Lacan e contro la Scuola che aveva adottato. Nel 2001 Miller smette di nascondersi, è lui stesso a dirlo così, e dà luogo ad un pubblico dibattito chiamando in causa, ma non in tribunale, l’opinione illuminata a cui vi si rivolge. Dal 2001 non ha più smesso di intervenire nell’agorà ogni volta fosse in causa l’insegnamento di Lacan. Colpisce che se nel 2001 usò lo strumento delle lettere indirizzate appunto ad un’opinione illuminata che crea egli stesso nel momento in cui vi si indirizza, ora passa tramite twitter, rompendo ogni retorica che non possa essere racchiusa, con sua grande soddisfazione, nei 280 caratteri disponibili su twitter. Dice che questo lo fa respirare. Non è questo un insegnamento sullo stare al passo della soggettività della propria epoca? Servirsi di ciò che passa il convento per sostenere ciò che il discorso principale forclude non volendone sapere.

Un modo di far presente l’insegnamento di Lacan nel discorso universale? Una nuova forma del suo corso sull’orientamento lacaniano?

Di insulti e spalle larghe

Mariangela Mazzoni – partecipante SLP
Milano, 26 luglio 2022

In questi giorni la caduta del governo Draghi ha creato grande confusione. Anche se, bisogna dirlo, la confusione c’era già da un po’: il 2022 è partito con la pandemia che provava ad estinguersi ma è proseguito con lo scoppio della guerra in Ucraina.

Il crollo del governo ha dato “il colpo di grazia” ad una situazione già tesa, ma, paradossalmente, i toni di questo caos non sono sembrati così grigi solo perché il caldo estivo – che rimanda anch’esso ad un imminente disastro ambientale – ha fatto percepire meno l’assurdità e l’ipocrisia di una classe dirigente che avrebbe dovuto guidare e che invece, non dando la fiducia “a sé stessa”, porta nuovamente gli elettori alle urne.

In questo caos saltano fuori, come assurdi “raudi” esplosi in aria, delle beghe che poco hanno da insegnare, ma che bucano lo schermo e portano a riflettere. Sono notizie che hanno scarsamente a che fare con quell’ “Andrà tutto bene” o con l’auspicio “Saremo tutti migliori” di cui si blaterava nel primo lockdown.

Ne è un esempio la vicenda di Brunetta e Berlusconi-Fascina, su cui lui stesso si è espresso chiaramente: “…quando c’è una rottura, invece di parlare delle ragioni della rottura subire invettive personali… Mi dicono tappo o nano e ho sofferto su questo, però ho le spalle larghe ma penso a tutti quei bambini e bambini che non hanno avuto la fortuna di essere nati alti…”

Insomma, il rimando all’essere violentato e bullizzato da una vita brucia tanto, ma brucia ancora di più quando coinvolge quelli che il giorno prima si erano chiamati amici.

Cosa lascerà, sembra chiedere ai nostri piccoli e al futuro che loro rappresentano, sentirsi colpiti e feriti sempre da esponenti di quella classe politica che tanto si professa arguta?
Ecco che, per fortuna, torna in aiuto la psicoanalisi: l’insulto è una violenza generata là dove poteva esserci dialettica e confronto.

Tutto chiaro, quindi, e a ciò rimanda anche il discorso del politico Brunetta:
l’insulto è qualcosa che sembra non aver senso se non quello, ultimo, di schiacciare un soggetto nella posizione di oggetto-scarto.

L’insulto rompe il legame e impedisce l’incontro: buca l’Altro. In questo caso è indirizzato a chi ha voluto “tirarsi fuori dal gruppo” stigmatizzandolo.

Per Lacan: «…ciò che si può produrre in una relazione interumana è o la violenza o la parola»1. L’insulto è, dunque, una pietra scagliata con la parola da cui ci si deve, in qualche modo, difendere.

Paradossalmente, oggi più che mai, occorre fare buon uso della parola per contrapporsi alla violenza, come sostiene Monica Vacca nell’editoriale della rivista AL n. 27 intitolato, appunto, “Violenza”.

Freud stesso, molto prima, a proposito dell’insulto diceva: “L’ uomo civile ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di sicurezza”2. Intendeva riflettere sul fatto che l’uomo primordiale, pur di vivere in gruppo per sua maggiore tutela, era passato all’uso della parola anche nei conflitti, attraverso l’offesa verbale.

Mi colpisce che negli stessi giorni si possa leggere una lettera inviata al Corriere: La scrive una ragazzina di 13 anni che racconta di “sentirsi diversa” dai coetanei tredicenni perché non è sempre con il naso negli smartphone, ama guardarsi in giro e godere della natura e questo produce negli altri spesso delle incomprensioni3. Talvolta può sentirsi esclusa dal mondo dei coetanei ma è lei che li invita a provare ad entrare nel suo quotidiano e provare una esperienza diversa. La ragazzina a mio avviso ha le “spalle larghe”.

Si tenta di superare la violenza con la parola.

Oggi le nuove generazioni ci provano. Fanno esse stesse “politica”. Mostrano come lavorare per “la polis”. I ragazzi sono cambiati.

Fragilità e insicurezze si esprimono con maggiore chiarezza, si può inanellare un discorso che non sia solo insulto, ma tentativo di incontro.

Si ha meno paura di esporsi e dire la propria, di parlare, di argomentare e provare a creare legami.
Cosa farcene, quindi, di questo insulto? Come far capire agli uomini politici che la politica è altra cosa e che, come diceva Aristotele, “L’uomo è per natura un animale politico” e, in quanto tale, portato per natura a unirsi ai propri simili per formare delle comunità?

Come far comprendere che altre sono le modalità vincenti che aprono al medesimo fine, ma attraverso il dialogo e la democrazia?

Forse un insegnamento può sempre arrivare dallo scontro tra Davide e Golia: poco serve a quest’ultimo l’essere fisicamente superiore, se non a mostrarsi ridicolo quando insulta dal luogo in cui si è arroccato sentendosi assurdamente forte: l’esito della vicenda riconosce il valore di altre “grandezze”.

[1] J. Lacan (1957-1958), Il seminario. Libro V. Le formazioni dell’inconscio, Einaudi, Torino, 2004, p. 470.

[2] S. Freud (1929), Il disagio della civiltà, Bollati Boringhieri, Torino, 1989.

[3] Approfondimento tratto dal quotidiano, Il Corriere, del 24-07-2022, Milano.