Romildo do Rêgo Barros
Membro AME dell’EPB e dell’AMP – Rio de Janeiro, 17 settembre 2022

*Articolo pubblicato in ZadigEspana, il 31 ottobre 2022, disponibile qui: https://zadigespana.com/2022/10/31/la-presencia-de-los-analistas-en-la-democracia/. L’intervento è stato pronunciato in apertura della Conversazione organizzata dall’EBP su “La presenza degli analisti nella democrazia” il 17 settembre 2022

Apertura

Vorrei innanzitutto dare il benvenuto a tutti i partecipanti alla nostra conversazione. Vorrei anche ringraziare Henri Kaufmanner, attuale Presidente dell’EBP, che ha prontamente accettato l’invito dell’Assemblea Generale a coordinare questa conversazione che, a mio avviso, segna una svolta importante nella storia della Scuola.

Ho l’impressione, spero non solo un’impressione, che questa conversazione inauguri qualcosa, una certa comprensione e una certa pratica della politica che, col tempo, porteremo avanti.

La nostra conversazione ha un titolo che sembra chiaro, almeno lo sembra: “La presenza degli analisti nella democrazia”. La prima cosa che ci viene in mente leggendo il titolo ha a che fare con la libertà di parola o di espressione, che sarebbe il punto di incontro tra psicoanalisi e democrazia. Forse non si tratta esattamente della stessa libertà o dello stesso discorso che la psicoanalisi e la democrazia rivendicano, ma entrambe richiedono un qualche tipo di permesso come condizione di funzionamento.

Senza libertà di parola non c’è democrazia, né psicoanalisi. Tuttavia, è necessario considerare le differenze tra le due: in democrazia, la libertà è innanzitutto la libertà di dire la propria opinione, mentre in psicoanalisi è quasi l’opposto. Dall’invenzione dell’inconscio da parte di Freud, si tratta della libertà di dire ciò che non si pensa e di mettere in atto quello che Jacques-Alain Miller ha chiamato “lo scarto del mentale”, che la presenza dell’analista trasforma in un nuovo discorso, cioè in un legame sociale che prima non esisteva.1

L’analisi mira a condurre un soggetto alla differenza (“differenza assoluta”, diceva Lacan nell’ultimo paragrafo del Seminario 11)2, mentre la democrazia presuppone una qualche forma di uguaglianza. La soluzione al paradosso mira ad avvicinare le due cose e a pensare a una differenza democratica, cioè una differenza nell’uguaglianza o un’uguaglianza nella differenza. Una frase di Éric Laurent illustra bene questa duplicità. Si riferiva all’ “analista-cittadino”, un’espressione da lui creata a metà degli anni Novanta:

“… l’analista, più che un luogo vuoto, è ciò che aiuta la civiltà a rispettare l’articolazione tra norme e particolarità individuali”.

Per ora possiamo dire che la democrazia non è un ideale psicoanalitico, ma una condizione di esistenza della psicoanalisi. Questo giustifica la partecipazione degli analisti, dei loro discorsi e dei loro scritti, alle lotte in difesa della democrazia.

Questo non coincide del tutto con una particolare posizione politica: certamente, ci sono analisti politicamente conservatori, liberali e progressisti. Tuttavia, il discorso dovrà essere sempre incompatibile con il fascismo, che, in quanto totalitarismo (che, appunto, annulla le differenze tra conservatori, liberali e progressisti) è al di fuori del ventaglio di posizioni e opinioni politiche. In questo senso intendo la dura espressione usata nel 1946 da Lacan per descrivere i nazisti: “nemici del genere umano”, che sono coloro che non costituiscono una fazione, ma che, al contrario, mirano a un nuovo universale umano che passerebbe attraverso la distruzione degli avversari, considerati come nemici. Questa è la vera utopia fascista.

La violenza fascista, quindi, non è semplicemente una mancanza di educazione politica o di cortesia nei confronti dei poveri, delle donne o delle minoranze, che la semplice truculenza di un personaggio spiegherebbe; piuttosto, costituisce di per sé l’essenza del programma fascista. In questo senso, è una violenza che non avrà mai fine, finché i fascisti avranno la possibilità di esercitarla. Gli psicoanalisti fanno parte del contingente di coloro che devono impedirlo, per quanto ne siano capaci.

La nostra conversazione di questa mattina illustra bene questo paradosso e questa sfida: l’ispirazione non viene dalla necessità teorica di capire meglio che cos’è la democrazia e qual è il suo rapporto con la psicoanalisi – cosa certamente necessaria e che potrebbe benissimo far parte del programma dell’EBP – ma obbedisce piuttosto a una certa urgenza, è dettata dal rischio di fascistizzazione del nostro Paese, che inizia con la promozione di alcuni significanti segregativi, come “i veri brasiliani”, “la gente per bene”, “un paese fondamentalmente cristiano”, ecc. Questa è già una deformazione del linguaggio come strumento di violenza, come esemplificato da Iordan Gurgel nel suo podcast, citando Amos Oz.

Traduzione: Adele Succetti

[1] J.-A. Miller, “Le salut par les déchets”, Mental, Clinique et pragmatique de la désinsertion en psychanalyse, n. 24, 2010.

[2] J. Lacan, Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 2003, p. 271.