Jacques Lacan
Il gruppo italiano, così come si presenta, ha dalla sua il fatto di essere tripode. Questo può bastare a sedercisi sopra. Per fare la sede del discorso psicoanalitico, è tempo di metterlo alla prova: lʼuso deciderà del suo equilibrio. Che pensi “con i piedi” è alla portata dellʼessere parlante fin dal primo vagito. Tuttavia sarà meglio considerare come stabilito, al momento presente, che il voto a favore o contro deciderà della preponderanza del pensiero se i piedi battono tempo di discordia. Suggerisco loro di partire da ciò con cui mi sono trovato a rifondare un altro gruppo, lʼEFP [École freudienne de Paris].
Lʼanalista detto della Scuola, AE [Analyste de lʼÉcole], ormai vi si recluta col sotto- porsi alla cosiddetta prova della passe, a cui tuttavia nulla lo obbliga, perché la Scuola al tempo stesso ne delega alcuni, che non vi si prestano, al titolo di analista membro della Scuola, AME [Analyste Membre de lʼÉcole].
Il gruppo italiano, se vuole ascoltarmi, si atterrà a nominare secondo il principio della passe coloro che chiederanno di entrare, correndo il rischio che non ce ne siano. Il principio è il seguente, e lʼho espresso in questi termini. Lʼanalista si autorizza soltanto da sé, è ovvio. Poco gli importa di una garanzia che la mia Scuola gli dà, indubbiamente sotto la cifra ironica dellʼAME. Non è con questo che egli opera. Il gruppo italiano non è in grado di fornire questa garanzia. Ecco ciò cui deve vegliare – che nellʼautorizzarsi da sé si tratti solo di analista. La mia tesi, infatti, inaugurale in quanto rompe con la pratica secondo cui sedicenti Società fanno dellʼanalisi unʼaggregazione, non implica tuttavia che chiunque sia analista. Poiché in ciò che essa enuncia, è dellʼanalista che si tratta, essa suppone che ce ne sia. Autorizzarsi non è auto-ri(tuali)zzarsi. Dato che ho posto, dʼaltro canto, che è dal non-tutto, dal non-ogni che procede lʼanalista. Non-ogni essere che parla avrebbe di che autorizzarsi a fare un analista. Tantʼè vero che lʼanalisi è necessaria, seppur non sufficiente. Solo lʼanalista, non chiunque quindi, si autorizza da sé. Ce ne sono, ora è un dato di fatto: ma è perché sono in funzione. Questa funzione rende solo probabile lʼex-sistenza del- lʼanalista. Probabilità sufficiente per garantire che ce ne sia: che le chances siano grandi per ciascuno le lascia insufficienti per tutti. Se tuttavia convenisse che a funzionare fossero solo degli analisti, considerarlo uno scopo sarebbe degno del tripode italiano. Vorrei aprire questa strada se vuole seguirla.
Per questo (ecco perché ho aspettato ad aprirla) occorre tener conto del reale. Ovvero di ciò che risulta dalla nostra esperienza del sapere: cʼè del sapere nel reale. Ben- ché questo sapere non sia lʼanalista, lo scientifico a doverlo situare. Lʼanalista situa un altro sapere, a un altro posto che deve però tener conto del sapere nel reale. Lo scientifico produce il sapere, con il sembiante di farsene il soggetto. Condizione necessaria ma non sufficiente. Se non seduce il padrone velandogli che sta lì la sua rovina, questo sapere resterà sepolto come lo è stato per venti secoli nel corso dei quali lo scientifico si è creduto soggetto, ma solo di dissertazione più o meno eloquente. Ritorno su tale punto fin troppo noto solo per ricordare che lʼanalisi dipende da questo, ma anche per lui non basta. Doveva aggiungersi il clamore di una presunta umanità per la quale il sapere non è fatto, giacché essa non lo desidera.
Cʼè analista solo a condizione che questo desiderio gli venga, ossia che già per questo egli sia lo scarto della suddetta (umanità). Dico già: è la condizione di cui, per qual- che verso delle sue avventure, lʼanalista deve portare il marchio. Sta ai suoi congeneri “saper” trovarlo. Salta agli occhi che questo suppone un altro sapere precedentemente elaborato, di cui il sapere scientifico ha dato il modello e porta la responsabilità.
Quella stessa che gli imputo, di aver trasmesso ai soli scarti della dotta ignoranza un desiderio inedito. Che si tratta di verificare: per fare dellʼanalista. Quale che sia il debito della scienza alla struttura isterica, il romanzo di Freud è fatto dai suoi amori con la verità. Ovvero il modello di cui lʼanalista, se ce nʼè uno, rappresenta la caduta, lo scarto –dicevo– ma non uno qualsiasi. Credere che la scienza sia vera con il pretesto che è trasmissibile (matematicamente) è unʼidea propriamente delirante che ogni suo passo confuta, riman- dando ai tempi di una volta una prima formulazione. Per questo motivo non cʼè progresso che sia notevole, in mancanza di saperne il seguito. Cʼè solo la scoperta di un sapere nel reale. Ordine che non ha nulla a che fare con quello immaginato prima della scienza, ma che nessuna ragione assicura che sia una fortuna1 .
Lʼanalista, se si vaglia con lo scarto che ho detto, è proprio perché ha intravisto il modo in cui lʼumanità si situa rispetto alla fortuna (ci sguazza, per lei esiste solo la fortuna), ed è per questo che deve avere isolato la causa del suo orrore, la causa del suo –di lui– orrore di sapere, staccato da quello di tutti. Allora sì che sa essere uno scarto. È ciò che lʼanalista ha almeno dovuto fargli sentire. Se non ne è portato allʼentusiasmo, può anche esserci stata analisi, ma di analista nessuna possibilità. È quello che la mia passe, di fresca data, spesso illustra: basta perché i passeur si disonorino nel lasciare la cosa nel- lʼincertezza e in mancanza di cui il caso incorre nel rifiuto garbato della sua candidatura.
Tutto ciò avrà unʼaltra portata nel gruppo italiano, se mi segue in questa faccenda. Poiché allʼÉcole de Paris non cʼè sconquasso per questo. Dato che lʼanalista si autorizza soltanto da sé, la sua manchevolezza passa ai passeur, e la seduta continua per la felicità generale, tinta però di depressione. Ciò che guadagnerebbe il gruppo italiano nel seguirmi è un poʼ più di serietà di quanto ottengo io nella mia prudenza. Ma per questo deve correre un rischio. Ora articolerò le cose per gente che mʼintende.
Cʼè lʼoggetto (a). Esso ora ex–siste per il fatto che io lʼho costruito. Suppongo che si conoscano le sue quattro sostanze episodiche, che si sappia a che cosa serve, avvolgen- dosi con la pulsione tramite cui ciascuno si punta al cuore e lo raggiunge solo con un tiro che lo manca. Questo fa da supporto alle realizzazioni più effettive, nonché alle realtà più avvincenti. Se è il frutto dellʼanalisi, rimandate il soggetto in questione ai suoi cari studi. Egli ornerà di qualche soprammobile supplementare il patrimonio che si pensa metta Dio di buon umore.
Piaccia crederci oppure ripugni è dello stesso valore per lʼalbero genealogico da cui lʼinconscio trae sussistenza. Il tipo o la tipa in questione vi danno un congruo seguito. Non si autorizzi a essere analista perché non avrà mai il tempo di contribuire al sapere, senza il quale non cʼè possibilità alcuna che lʼanalisi continui a essere un vantaggio sul mercato, ossia che il gruppo italiano non sia votato allʼestinzione. Del sapere in gioco ho emesso il principio come da quel punto ideale che tutto permette di supporre quando si ha il senso del diagramma2 : è il fatto che non cʼè rapporto sessuale, rapporto –intendo dire– che possa essere messo in scrittura. Se è così, inutile provarci, mi dirà qualcuno, certo non voi ma ben i vostri candidati, è uno di più a replicare, non avendo alcuna possibilità di contri- buire al sapere nel quale vi estinguerete. Senza provare questo rapporto della scrittura non cʼè modo, infatti, di arrivare a ciò che, nel momento stesso in cui ponevo la sua inex-sistenza, ho proposto come uno scopo per cui la psicoanalisi si eguaglierebbe alla scienza: cioè dimostrare che questo rapporto è impossibile da scrivere e che proprio per questo non si può affermarlo ma neanche confutarlo: a titolo della verità. Con la conseguenza che non cʼè verità che si possa dire tutta, nemmeno questa poiché questa non la si dice né più né meno. La verità non serve a niente se non a fare il posto in cui si denuncia questo sapere. Ma questo sapere non è niente.
Poiché si tratta del fatto che, accedendo al reale, lo determina quanto il sapere della scienza. Naturalmente, questo sapere non è già bellʼe fatto. Occorre inventarlo. Né più né meno. Non scoprirlo, poiché la verità altro non è che legna da ardere, dico bene: la verità quale procede dal f…ttere (ortografia da commentare, non si tratta della f…nteria). Il sapere da Freud designato come inconscio è ciò che lʼhumus umano inventa per la sua perennità da una generazione allʼaltra, e ora che se nʼè fatto lʼinventario si sa che dà prova di una sconfortante mancanza di immaginazione. Lo si può intendere solo con beneficio di questo inventario: lasciando ossia in sospeso lʼimmaginazione che vi è corta e mettendo a frutto il simbolico e il reale, qui annodati dallʼimmaginario (ecco perché non lo si può lasciar perdere), e tentando, a partire da essi, che hanno tutto sommato mostrato le loro capacità nel sapere, di accrescere le risorse grazie a cui si potrebbe arrivare a fare a meno di questo increscioso rapporto, per fare lʼamore più degno della chiacchiera proliferante in cui oggi consiste – sicut palea, diceva san Tommaso terminando la sua vita di monaco. Trovatemi un analista di questa grana, che innesterebbe lʼarnese su ben altro che su un organon abbozzato.
Concludo: il ruolo dei passeur verrà assicurato dallo stesso tripode fino a nuovo ordine, dato che il gruppo ha solo questi tre piedi. Tutto deve ruotare intorno agli scritti che usciranno.
* Jacques Lacan, Autres écrits (Éditions du Seuil, Paris 2001).